Eccoci alla 26° edizione di questo splendido concorso. La parola giusta per esprimere un pensiero su questa iniziativa è grazie. Un grazie sincero a chi ha pensato parecchio tempo fa il concorso e ne permette la realizzazione ogni anno.
Mai come in questo tempo fatto di like, di brevi messaggi di testo, emoticon e immagini, è importante ridare spazio alla scrittura e in particolare al racconto e alla poesia. Soprattutto per i nostri ragazzi.
In una società complessa quale la nostra, questo tipo di attività, attivato all’interno e fuori dalla scuola, assume una importanza fondamentale in quanto si configura come spazio di pensiero, di ascolto, d’incontro finalizzato alla “costruzione dell’esperienza di sé”, allo sviluppo della capacità di “pensare e di pensarsi”. La poesia diviene strumento di alfabetizzazione emotiva, di interpretazione e di conoscenza di se stessi. Attraverso le parole scritte i ragazzi esprimono la loro identità, i loro desideri, le loro speranze, i timori e le domande per loro crescita, sviluppando una maggiore consapevolezza del loro mondo interno e della possibilità di modificarlo e comunicarlo agli adulti.
Sfogliando le pagine di questo volume che raccoglie poesie e racconti, mi colpiscono i temi trattati, segno di una forte introspezione e di una fatica tipica degli anni dell’adolescenza. Vedo anime “in tempesta” che affrontano “il mistero dell’infinito”, vedo amicizia e legami come ancore preziose per chi si sente “un naufrago, su una zattera, in mare aperto, senza porto a cui approdare, nella solitaria immensità di questo mare in tempesta”.
Leggo di “paure nascoste dietro a fragili porte o a tende poste davanti al rumore di pensieri che scorrono”. Apprezzo chi fa esplicito riferimento ad autori indimenticabili, come Giacomo Leopardi, scrivendo “Sempre caro mi fu questo immenso, che come un’ansia mi stringe il cuore”.
Comprendo quanto affacciarsi alla vita adulta rappresenti un momento complesso e auguro a tutti questi ragazzi di continuare a guardarsi dentro per trovare le energie che permetteranno loro di costruire un luminoso futuro. Magari anche in campo letterario. Ma di sicuro nella vita personale e lavorativa.
Valentina Giro Assessora alla Cultura |
Paolo Bianchi Assessore a Scuola e Giovani |
Maria Grazia Cislaghi - Già Dirigente della Biblioteca Comunale di Arese, collaboratrice di numerose attività culturali, tra cui la presentazione di libri.
Ombretta Degli Incerti - Già Preside del Liceo Classico Clemente Rebora e Presidente del Distretto scolastico.
Adriano Molteni - Scrittore e poeta premiato in Italia e all’estero per le sue opere, membro di giuria di premi nazionali, ha ideato e realizzato in team il Palio della Città di Rho nel 1996.
Mattia Pedota - Docente universitario di Economia Industriale al Politecnico di Milano e alla MIP Business School e consulente freelance. I suoi articoli, conseguenti le attività di ricerca scientifica, sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali.
Piero Airaghi - Diplomato all’Accademia delle Belle Arti di Brera, organizzatore e animatore di iniziative culturali, è fondatore del Premio Nazionale di Pittura Il Pomero, ed è stato insignito del premio “Ambrogino d’oro” dal Comune di Milano.
Roberto Mosca - Autore di poesie e prose, collabora con centri di lettura, scuole ed associazioni per la promozione di eventi culturali.
Siamo io e te.
Siamo io e te contro il mondo
Sussurravo ogni sera al volto smunto
e privo di speranza
Che si rifletteva nello specchio
Lo stesso specchio
Che avrei voluto frantumare
Pur di non avere più un’immagine distorta
Di me stessa.
Siamo io e te
Contro l’ipocrisia
Delle persone che dicevano di volerci bene.
Siamo io e te
Contro il bisogno di amore disperato
Che abbiamo
Contro il bisogno di amore
Che offusca la vista
Ottunde la mente.
Siamo io e te
Contro i nostri stessi pensieri,
Sassi che dilapidano
Verghe che sferzano,
I nostri pensieri,
Quelli che la notte
Silenziosi
Urlano troppo forte
E ci divorano.
Sofia Marcone
IC De Andrè - Rho Classe 3ª
Acquistare la consapevolezza del vivere quotidiano è un notevole sforzo interiore, perché la nostra coscienza fa i conti con la realtà che ci circonda. Le difficoltà del relazionarci, le delusioni stesse, inaspettate e frustranti che paiono rovesciarci contro il mondo intero, sembrano insopportabili, perché anche l’amore, di cui tutti hanno estremamente bisogno, ci abbandona.
Non basta lo specchio per sfogarsi, c’è bisogno d’altro, certamente di risposte, ma si è soli e i nostri stessi pensieri ci sono contro, aumentando il disagio a dismisura, soprattutto, quando il sonno tarda e ci si intestardisce a trovare da soli le risposte.
“Coscienza consapevole” è una poesia spontanea, nel senso che nasce da dentro e chi l’ha scritta ha cercato di darle una ampiezza coinvolgente e v’è riuscito.
Adriano Molteni
Il vento canta melodie leggere
Il sole sorride alla terra
Le nuvole bianche si inseguono lente
Le nuvole nere, invece, giocano a nascondino
E la mia mente è conquistata
da pensieri fatati
Il mare si riposa
Il fiume scorre pigro
Le cicale cantano canzoni
Le tempeste non si fanno vedere
E la mia mente è conquistata
da pensieri alati
Dall’altra parte del mondo
Il dolore governa
La guerra continua
Il male trionfa
E la mia mente supplica
la pace
La fame assassina la gente
Il caldo rovina i raccolti
Le tempeste affogano le barche
Gli uragani si divertono
distruggendo le città
E la mia mente supplica la serenità
Io desidero solo la CALMA...
John Castellani
IC Don Gnocchi Media S. Pellico - Arese Classe 2ª
“Calma” è il titolo di una composizione che esordisce con una ripresa di melodie fatate in cui il mare sembra riposare e le tempeste appaiono lontane. In questo mondo di serenità la mente del poeta è interamente conquistata da un panorama in cui le cicale cantano festose e il fiume scorre pigro.
Ma questo scenario di pace è bruscamente contraddetto da una realtà in cui ogni giorno è attraversato dal trionfo della guerra, del male e del dolore. Allora nasce un’aspirazione profonda alla ricomposizione tra la calma iniziale e la quotidianità vera, tra i sogni e la realtà. Questa contraddizione è ciò da cui nasce una poesia che rivela l’umanità del poeta, vissuta tra il desiderio di calma e il dolore che si manifesta ogni giorno più forte, proprio perché in evidente contrasto con gli scenari di pace evocati.
E colpisce particolarmente che a scrivere in questo modo sia un adolescente alle prese con le manifestazioni di una realtà che presenta lacerazioni così evidenti . “Calma” è appunto l’aspirazione più profonda espressa dal giovane poeta alle prese con le problematiche del mondo in cui vive.
Ombretta Degli Incerti
Lacrime di sangue rosso come fuoco
il riflesso nello specchio è un grande sguardo vuoto.
Vorrei poter vedermi per come son davvero,
ma fatico tanto a trovare quel sentiero.
Voglio solo un’emozione
e non c’è soddisfazione.
Quella fitta che non muta buca la mia testa
Come un colpo di pistola che trapassa la finestra
e il buio della sera le mani mi congela.
Il vetro si rompe, l’orizzonte si sfuoca,
io come senza occhiali sono ferma e fioca.
Inutile provare a cercare un po’ di luce:
l’ombra del mio corpo è infetta come antrace.
Sola, con il palmo, provo ora a toccare
un fantasma di speranza
che però scompare.
Sofia Della Vedova
Scuola Media San Carlo e San Michele - Rho Classe 3ª
Questa poesia è decisamente ben scritta e si caratterizza per un uso maturo e scorrevole di molteplici figure retoriche. Le rime, nel complesso, non risultano forzate, cosa più unica che rara in autori così giovani. Degna di nota è la coerenza di immagini come “il buio che congela”, “l’ombra del corpo” e il “fantasma di speranza” che dà il titolo alla lirica. Inoltre, trovo molto evocativa e intellettualmente fine la successione di versi che mette insieme la rottura del vetro, l’orizzonte sfuocato e gli occhiali. Considerata la giovanissima età, riconosco all’autrice un potenziale eccellente.
Mattia Pedota
Freddo silenzio, frastuono leggero,
vorrei tanto parlare eppure ho la bocca cucita,
la scintilla si è spenta ed è morto il mio cuore.
C’è una stonata melodia, ne sogni né voglia
Ore veloci e secondi infiniti
Mancarsi fa male, eppure è essenziale
Giorni e minuti pensando ad un perché
ma niente e nessuno può spiegare granché
La mia corsa è finita, ho perso le forze
son finite le stelle
tu eri la sola e adesso sei morta.
Sola e senza armatura è rimasta infelice la mia anima scura.
Devastante e terribile, bellissima era, mi manca
questa nostra delicatissima pagina bianca.
Giorgia Segat
Scuola Media Paolo VI - Rho Classe 2ª
“…La bocca cucita…è morto il mio cuore…”
Sono parole che urlano, nascono e vivono in un mondo dove la rivoluzione digitale sta peggiorando il nostro vivere quotidiano.
I giovani vivono in un mondo virtuale, dove si trovano a chiedersi “…la mia corsa è finita, ho perso le forze, son finite le stelle…”.
Chi scrive questa poesia ci fa vivere la sofferenza di quando la vita ci porta a cadere nel più profondo degli abissi.
Rinasciamo come la Fenice con il pensiero di Michelle: “Io non posso essere felice quando cambio - soltanto per soddisfare il tuo egoismo…e non posso permettere che tu mi dica cosa devo essere…perché sono impegnato a essere me…” (poesia citata da Leo Buscaglia in “Vivere, Amare, Capirsi”).
Piero Airaghi
Aprire gli occhi e stupirsi
stupirsi del mondo che si risveglia
stupirsi quando all’alba il sole,
come una palla infuocata,
si arrampica dietro i rami degli alberi
stupirsi quando al tramonto il cielo,
come una tavolozza di caldi colori
ci accompagna a finire le nostre giornate
stupirsi quando un sorriso inaspettato
trasforma l’evolversi di una giornata
stupirsi di riuscire ad affrontare un nuovo ostacolo
anche quando non ci credeva nessuno
stupirsi quando una nuova canzone
indovina una nota in grado di regalarci un brivido
stupirsi della forza che possono avere le parole
lame taglienti o morbidi cuscini su cui coricarsi
e anche se ogni volta lo stupore arriva all’improvviso
e con la stessa velocità scompare
lascerà il posto ad un’altra emozione
di rabbia o di felicità, di paura o di coraggio
che ci ricorderà quanto è importante stupirsi per
comprendere la grandezza di ciò che siamo.
Beatrice Carmagnola
Liceo E. Majorana - Rho Classe 2ª
“Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell’animo nostro…”. Questa è una parte della “lettera sulla felicità” scritta da Epicuro ventitré secoli fa.
E oggi, in un mondo dove l’uomo vive alla ricerca di pace e serenità, trovo questo meraviglioso canto d’amore, di gioia e speranza.
“Aprire gli occhi e stupirsi…”
Ogni giorno del nostro vivere vuol dire saper vedere, ascoltare, volersi bene e accettare l’altro. Questi sono i pilastri su cui costruire e “comprendere la grandezza di ciò che siamo”.
Grazie, conserverò questo tuo scritto che mi darà luce e speranza nei momenti bui.
Piero Airaghi
Un
Due
Tre
Quattro.
Rumori.
Cinque
Sei
Sette
Otto.
Ansia.
Ferma.
Un secondo.
Guardati intorno.
E
Goditelo.
Il respiro inizia a tornare regolare,
I pensieri si mettono in fila,
In ordine.
Smetti un secondo di ripetere i passi,
Compulsivamente,
Ossessivamente,
Come se fosse vitale,
Come se, se smettessi un attimo
si fermerebbe qualcosa di imprescindibile.
Ti chiamano.
“Va bene, vi ricordate i posti,
I tempi,
Le posizioni.
Tutto ok.
Entrate”.
È arrivato il momento,
Quello che aspettavi da tempo.
Non sai cosa aspettarti,
E senti un vuoto,
L’ansia,
La voglia di vedere,
Di scoprire.
E tutto questo
è così presente da farti trattenere...
Il respiro.
Parte la musica,
Dentro.
Lasci quelle lunghe tende scure,
Che sono a metà strada tra
l’inferno
e il paradiso.
Decidi di lasciare questo posto
apparentemente così sicuro per
buttarti.
Il pavimento in legno,
Le luci accecanti.
Non vedi.
Non puoi vedere.
Sei per un attimo confusa,
E poi,
Finalmente,
Metti a fuoco.
E quel nanosecondo,
(Perché di più sarebbe fatale),
Ti basta per riempire il tuo vuoto.
Una distesa di persone a fissarti.
Dimenticatene.
Balla.
Alla fine,
Gli applausi,
Le urla.
Finalmente felice.
Finalmente piena.
Finalmente quello che aspettavi.
Il viaggio migliore del mondo.
Matilde Angelica Giussani
Liceo E. Majorana - Rho Classe 2ª
Il componimento riesce a catturare immediatamente il lettore con versi estremamente brevi, guidati da un ritmo interessante. Quasi ci si abbandona a questa progressione scandita, dimenticando di scoprirne il significato. Poi tutto si fa chiaro, permettendoci di accompagnare chi scrive nel suo ingresso in scena.
Il debutto imminente scioglie l’emozione e in un certo modo la struttura dei versi, dandoci visione di quel che sta accadendo - dentro e fuori - alla protagonista.
È il racconto candido di un’emozione, qualcosa di desiderato e temuto al contempo.
La poesia assume il valore intimo di una testimonianza che, come dice la stesa autrice, diventa per lei stessa: “lo spettacolo migliore del mondo.”
Roberto Mosca
Perché?
Mi chiedo: perché hai deciso
di intraprendere questo viaggio?
Vuoto.
Non riesco ancora a riempire
Quel vuoto
Che hai lasciato.
La tua partenza,
Il tuo viaggio,
Il tuo arrivo,
Tutte queste cose improvvise,
Mi tormentano ancora.
Com’è il paradiso?
Bello,
Pacifico come si dice?
Il dolore è svanito?
La paura invece ti tormenta sempre?
Spero che tu stia ballando ancora
Il nostro valzer in paradiso
E che stia cantando in un coro di angeli
Ancora quelle canzoni,
Che mi hanno sempre portato un sorriso sul volto.
Su quel volto
Che non verrà mai più accarezzato
Da quelle mani
Rugose
E delicate.
Mi mancherà poter viaggiare con te,
Dato che gli angeli come te,
Non possono viaggiare all’inferno.
Gaia Micaela Barichello
Liceo E. Majorana - Rho Classe 2ª
La persona cara, che scompare, lascia sempre in noi un vuoto incolmabile e un’ondata di ricordi. Però in “Non ti scordar di me” la persona cara lascia pure una curiosità infinita al nostro poeta che, con le sue domande, va oltre i ricordi.
Così vorrebbe sapere del viaggio; di com’è il Paradiso; come se la stia passando; se canta ora con il coro degli Angeli le canzoni che gli donavano un sorriso.
E qui, ritorna la nostalgia di quelle mani “rugose e delicate” che lo accarezzavano.
Sembra ora volerci strappare una lacrima, ma... Ma il poeta ci sorprende con l’inaspettata chiusa, morbida e soffice sia pure un poco bricconcella che lascio a voi, ascoltatori, sentenziare.
Adriano Molteni
Sei volato via come il vento
In una fredda giornata d’ inverno
Fredda come il mio cuore
sarai sempre vicino al mio cuore
Ma lontano dai miei occhi
Dove sarai in questo momento?
Spero vicino a me
In ogni tuo gesto mi rispecchierò
Troveró sempre la forza di andare avanti
Senza arrendermi mai
Proprio come hai fatto tu
Il mio cuore bollente
Il tuo sguardo assente
Ma so che da lassù in alto mi guardi
Non lasciarmi
Stammi vicino
Stringimi a te
non andartene mai
Un altro inverno e stiamo ancora insieme
Un altro freddo che non sento con te
Un dolore non è come la moda che passa
Ma come un lungo ricordo che rimane
Rimane a lungo
nel profondo del cuore
D improvviso penso a te
Ti vorrei sentire anche per un istante
Ti vorrei abbracciare come ho sempre fatto
Ti vorrei scrivere e raccontare come facevamo ogni sera
Mi manchi
Mi manchi tu
Le risate
Il tuo dialetto
Le tue battute
Tutto
Peró una cosa la so
Che ...
Un giorno ci rincontreremo
E torneremo a sorride.
Rosita Giacoia
IS Puecher-Olivetti - Rho Classe 1ª
Una persona cara se ne va e se ne sente la mancanza, soprattutto quando la sua presenza ha segnato positivamente la propria vita con l’esempio e con l’amore. La si cerca nei pensieri. Nella immaginazione la vogliamo sempre vicina, ma non c’è e ciò rende tristi. Ed è qui che il poeta ci dona un verso stupendo: “Un dolore non è come la moda che passa”...
C’è molta voglia nel poeta di rincontrare questa persona amata, ma bisognerà aspettare ed il tempo è tiranno per tutti.
“Ovunque” è una poesia scritta in modo semplice, dialogante con chi non c’è più. Ciò è pure la sua bellezza. Infine, aggiungo: “rivivere il ricordo è riportare la persona amata al presente” e questo è bene ricordarlo anche quando ripensiamo alla nostra vita trascorsa.
Adriano Molteni
Non la mente, l’anima, il pugno,
non lo sguardo, il corpo e i suoi rifugi,
l’ossa d’un uomo si delineano nel digiuno;
l’epidermide avvinghia la gabbia, lo scrigno,
sottile, una vena la solca sopra lo zigomo,
la fronte si arriccia al primo strascico dell’impulso,
le vertebre si incuneano in memoria d’un ghigno.
Unghie sporche arrancano lungo un miraggio,
Dio non ha problemi a cingersi di gloria,
ma come muore un topo in trappola?
il galateo come si esprime sul bicchiere da arsenico,
avvelenato dall’oro falso del calice…
Di nuovo nella terra altro fango,
ribolle nel suo ballo al vento di libeccio,
e l’uomo ritorna nudo e chino sul terreno,
e l’uomo non è solo: ha di nuovo un aguzzino,
non serve più gloria, ma calli e velli d’inverno;
caviale e pane azimo,
muschio e larve nello stesso piatto,
che la natura è stata fin troppo madre,
che ci salvi,
svelandosi vendicativa.
Leonardo Maurizio Caenazzo
Liceo L. Fontana - Arese Classe 5ª
“L’uomo è una canna pensante”, diceva Pascal: la capacità di astrazione lo eleva troppo al di sopra della fragilità carnale che lo caratterizza. L’abitudine a inquadrarci in relazioni fondate sul pensiero e fondanti prodotti del pensiero quali costumi e istituzioni ci relativizza a un reticolo di dimensioni doppiamente illusorie, in quanto false e mutuamente legittimanti. Tuttavia, il conseguente distacco dall’essere-per-la-morte heideggeriano, se consapevole, non smorza la progettualità esistenziale, ma la concentra nel sublime di poche fotografie dicotomiche. Se una cascata o un vulcano ben disvelano quel difetto dell’intelletto che tende l’anima verso il soprasensibile, l’assimilazione, per contrasto, del fallimento antropocentrico lo fanno assurgere ad ancora di salvezza. Quando la profondità intellettuale è accompagnata da un gusto estetico raro, il risultato non può che essere una poesia di alto livello, come tutte quelle presentate da questo talentuoso autore.
Mattia Pedota
Sono un naufrago, su una zattera, in mare aperto
Senza porto a cui approdare, nella solitaria immensità
Di questo mare in tempesta.
Non vedo al di là della cresta
dell’onda, più vado avanti
Più l’acqua sembra profonda
E un vortice di schiuma mi risucchia.
Un’ onda sovrasta la mia misera barchetta
In tutta la sua prepotenza, poi ci si schianta con violenza.
La zattera imbarca acqua che mi entra dappertutto
Occhi, orecchie, bocca, naso. Inerme
Mi affido al caso.
Mi sento come un verme all’amo, un’esca.
Non mi è mai piaciuta la pesca.
Sono presa nella trappola dei miei stessi pensieri
Più torbidi e neri, come quest’acqua.
La zattera affonda
O forse è tutto nella mia testa
Che rimbomba. Immobile aspetto
Che la tempesta taccia, che il mare torni calmo
E piatto,
Come ha sempre fatto.
Poi le correnti mi trascineranno alla deriva
Fino a qualche riva
Dove mi sdraierò sulla sabbia a riposare, giusto un po’
Prima di ripartire, riprendere il mare
Per nuove avventure
Chiedendomi
Chissà che nuove spiagge
Ha in serbo per me il destino.
Giulia Brandts
Liceo Falcone e Borsellino - Arese Classe 3ª
La poesia rappresenta l’evoluzione di uno stato d’animo che appare assai diffuso tra i giovani di oggi. La poetessa vive infatti la sua condizione di tutti i giorni come un continuo naufragio, in cui la vita rappresenta una zattera, sempre più risucchiata e affondata da vortici oscuri.
Ma forse no. L’atroce dubbio espresso è che la tempesta sia tutta nei nostri pensieri, torbidi e neri come le onde che investono la barca, mentre si tratta solo di saper aspettare che il mare torni tranquillo e che le correnti ci trascinino in qualche nuova spiaggia lontana, a rappresentare una nuova pausa tra le molte avventure che il destino si appresta a farci vivere.
Il mondo che la giovane autrice ci descrive oscilla perciò tra avventure e tempeste che insieme convivono nell’animo e che bisogna semplicemente saper accettare. Per questo la vita può solo essere vissuta come una “anima in tempesta”, in attesa che intorno a noi ritorni la serenità: questo sembra essere il messaggio trasmesso a tutti noi.
Ombretta Degll’Incerti
Scrivo, segno, disegno
sono solo uno strumento
nelle mani di un umano
che mi muove a suo piacimento.
Quando un po’ mi consumo,
e il mio tratto non è più sottile
mi rigira tra le lame,
mi plasma e mi appuntisce
come più gli conviene
per continuare a lavorare.
Mai una carezza
o una parola gentile.
Quando la punta si spezza
mi tempera con più foga
come se fosse mia la colpa
quando lui mi ha fatto cadere.
Più volte ho pensato: me ne vado
da questo astuccio buio,
sono stanca
di vedere la luce quando decide lui,
quando lui ha bisogno di me.
Ma dove può andare
una matita sola?
Sempre più corta nel tempo
mi sciolgo come una candela,
ma senza fumo
cosicché nessuno mi noti.
E se non ci sono io,
cosa succederà a tutti i disegni
che abbiamo avverato insieme?
Allora quando sono smussata
e non più aguzza,
sopporto sospirando
che mi modelli
come più gli piace,
affinché possa continuare
a usarmi.
Ma quando sarò troppo corta,
troppo scomoda per lui
e per la sua mano da umano,
allora non potrà più adoperarmi.
Lascerà ciò che rimane di me
nel suo astuccio buio
insieme alle lame
che mi hanno ridotta così?
Per ricordarsi di me?
Una piccola, sciocca
amareggiata
matita?
No.
Ha già preso una sostituta,
lunga come me
quando conobbi questo umano,
la punta pungente
contro la mia vernice
scrostata.
Non c’è più spazio per me,
lo capisco
e mi faccio da parte,
passo il testimone
pregando in silenzio
l’umano:
Non farla soffrire
tanto quanto me,
te ne prego.
Esaudisci quest’ultimo
desiderio
di una superflua,
piccola
matita.
Sofia Borsani Sogni
Liceo Falcone e Borsellino - Arese Classe 3ª
Ho letto più volte e continuo a leggere questa tua poesia, così ricca di sofferenza e di amore. Sono “parole” che trasmettono molti momenti del nostro vivere.
Gesù diceva: “se volete scoprire la vita, cercatela dentro di voi”, lo diceva anche Buddha, il Corano e tanti altri; tutti ci rammentano questa verità: “le risposte che ci servono sono dentro di noi e non fuori”.
Qualsiasi cosa ci possa capitare, riprendiamoci sempre tra le mani la nostra vita, baciamola e proseguiamo; solo così ci sarà l’Amore e la Gioia di continuare a vivere.
Piero Airaghi
Ora ti copre anche questo tramonto
Sole del mio giorno,
Stella del mio andare:
e mi rabbuia i pensieri ricordarti,
ripensarti, mio caro tempo,
come il più intimo dei miei pensieri.
Mio caro sterminio atroce e doloroso
riportami, ti prego, tutto ciò che hai di mio
perché da ora ne avrò bisogno.
Rivivere il tempo del pensiero,
l’inquietante respirare l’aria di maggio
glicine bianco, ulivo e mirto;
resta qui, accanto a me, la terribile frustata
che ci ha risvegliati dalle mille distrazioni.
La terribile frustata mi ha lasciato
mille segni indelebili
di mille invisibili sogni irrealizzati
e mille indicibili storie inascoltate.
La terribile frustata ne ha uccisi,
a valanghe ne ha sterminati,
a bizzeffe ne ha portati via
e a nessuno di questi ha guardato
neanche fossero rami secchi,
candele di chiesa che un solo soffio spegne.
E la terribile frustata ha avuto anche
il coraggio di guardare i miei occhi
che bambino impaurito
ho conosciuto quanto sia duro
essere realmente equilibristi
su un filo di seta finissimo
teso dove la vita è tutta incerta.
E, dunque,
io, l’equilibrista degli amori,
io, il narciso, poeta dei contrari,
io, lo Xanto gorgogliante
e assetato del sangue di chi di me
ha più coraggio di morire
io, il popolo assetato
in cammino nel deserto,
io, l’esito incerto
della battaglia insuperabile,
io, l’ignobile compagno di viaggio
ti chiedo, implorante, di guardarmi:
e non fingere che tutto questo
non sia che il nulla.
Sono io questo uomo disprezzabile
steso sulla spiaggia d’occidente
a vedere il tramonto dei tramonti,
il dono che di un ingenuo bimbo
ha fatto un incredibile uomo,
plasmato pur di incertezza
ma, certamente, sicuro di esser pronto
a correr coi suoi piedi la sua vita.
I suoi piedi sono pronti,
i fianchi cinti,
la mano regge il bastone:
ora, il Narciso, può partire per sempre.
Non c’è più tempo per guardarsi attorno,
non c’è più tempo per aspettare.
La Vita lo aspetta.
La Vita aspetta tutti.
Nicolò Christian Terrana
Liceo Classico C. Rebora - Rho Classe 4ª
Una data, un puntino nel tempo che scorre, danno modo al poeta di fare su di sé alcune riflessioni e anche di chiedere in modo imperativo che gli venga restituito tutto ciò che ritiene di sua proprietà, perché vuole ricuperare questi beni, che le restrizioni gli hanno tolto, per riviverli.
E si esalta per aver superato la “terribile frustata”, dalla quale è stato anche minacciato, impaurendolo. Così, ora vuole la sua rivincita e si sente uomo, pronto ad affrontare la Vita.
Una poesia in cui troppe metafore non rendono semplice dipanare i versi racchiusi, ma, indubbiamente, si avverte la forza del raccontare e il suo compagno non è che il tempo, che si traduce in Vita e la Vita è fondamentalmente tempo che va riempito.
Adriano Molteni
La luna splendeva alta in cielo, mostrando il suo pieno bagliore, quando una freccia la colpì, perforandole il fianco destro. Un liquido argento sgorgò dalla ferita: era il suo sangue, che sangue non era. Lasciò che il cappuccio del suo mantello nero le ricadesse sulle spalle, lasciando i suoi capelli rossi brillare alla luce di un fuoco lontano. Cadendo in ginocchio lanciò un’occhiata alle sue spalle e vide le guardie avvicinarsi sempre di più. Strappò la freccia dalla sua carne e sentì l’immortalità scorrere nelle sue vene. Un istante dopo i suoi occhi cominciarono a brillare e il ghiaccio che da tempo li aveva caratterizzati si spezzò, rivelando un mare in tempesta.
Luce. Fu l’unica cosa che le guardie riuscirono a vedere prima che la morte li travolse. Una morte pura e limpida, priva di dolore ma allo stesso tempo straziante, il tipo di morte che ti colpisce senza che tu te ne accorga. Poi, con la stessa velocità con cui scocca una scintilla, l’intera foresta prese fuoco e l’ossigeno sembrò scomparire, sostituito da una fitta coltre di fumo. L’aria era diventata irrespirabile ma lei continuò a correre, ignorando ciò che aveva fatto e tutte le vite a cui aveva appena messo fine. In lontananza si udivano gli uomini gridare, alcuni cercavano di spegnere il fuoco, altri di attraversarlo nella speranza di riuscire a catturala. Ma lei correva, sempre più veloce e voltandosi un’ultima volta prima di sparire nell’oscurità della notte, incontrò lo sguardo, al di là delle fiamme, di un uomo. Era alto, aveva le spalle larghe e portava una grossa pelliccia nera. Lei lo riconobbe subito e per lui fu lo stesso. “Oh, il peccato, in quegli occhi innocenti, limpido come il cristallo, inteso ugualmente dagli ignoranti e dai saggi, più prezioso dei gioielli, più rasserenante della musica, più orribile della morte”. Questi furono i pensieri dell’uomo, che con sguardo tetro la osservò svanire. In un solo attimo ogni cosa diventò scura e persino gli occhi di lei, che da sempre vedevano più di quanto avrebbero dovuto, si ritrovarono ciechi. Rallentò il passo, trasformando la sua corsa disperata in un passo incerto. Con le mani tese in avanti, procedeva piano e con cautela. Non sentiva altro che il battito irregolare del suo cuore, che pulsava, pulsava e pulsava a una velocità preoccupante, tant’è che per un secondo pensò che fosse pronto ad esplodere o scaraventarsi fuori dal suo petto. Erano passati diversi secondi, o forse alcuni minuti, quando il silenzio innaturale che la circondava fu interrotto bruscamente da un rumore ancora più innaturale. Un’infinità di voci. Tutte nella sua testa. Erano migliaia. No. Milioni? Nemmeno. Miliardi? Di più. Gridavano, oh, come gridavano. Lei non aveva idea di come fermarle e come un bambina si mise le mani sulle orecchie, sperando che tutto finisse in fretta. Le voci però, non erano intorno a lei, erano dentro di lei. Le sentiva risuonare dal profondo, come un’eco lontana kilometri, ma che allo stesso tempo la stringeva in un ferreo abbraccio, tutt’altro che affettuoso. Qualcosa in lei non andava, ne era certa, ma ancora non sapeva cosa fosse. Sentiva i pensieri di tutti e non era in grado di metterli a tacere, stava forse diventando pazza? Probabilmente si. Una folata di vento la percorse e solo allora si rese conto di quanto facesse freddo davvero; la temperatura era sicuramente scesa sotto lo zero e sfiorando la sua pelle chiunque avrebbe affermato di star toccando del ghiaccio vero e proprio. Il freddo le piaceva, la faceva sentire a suo agio, come il fuoco scoppiettante di un camino fa con gli artigiani rincasati dopo una lunga giornata di lavoro. Sarebbe già morta congelata, se solo la sua parte umana non l’avesse abbandonata tempo fa, sostituita dall’anima di un demone o di una qualsiasi altra creatura infernale. Continuò a rimuginare sulla sua probabile pazzia per diverso tempo, cercando di ignorare le voci, ovviamente con scarsi risultati, quando la terra sotto i suoi piedi cominciò a tremare violentemente e in un secondo si ritrovò per terra, a rotolare lungo il fianco della montagna. Rami caduti, radici sporgenti e cespugli spinosi, le si schiantavano contro, graffiandole le braccia nude. Non era certo in grado di fermarsi e continuò a rotolare a lungo finché improvvisamente, sentì la terra sparirle da sotto. Aprì gli occhi di scatto e oltre ad un magnifico cielo stellato, vide il bordo di un precipizio farsi sempre più lontano e immediatamente capì: aveva raggiunto la scogliera e ora stava precipitando verso l’oceano. Nel momento in cui toccò l’acqua un fremito si propagò per il suo corpo e si sentì invadere da una strana tranquillità. “La morte…che sensazione piacevole” pensò. Sentiva la vita scivolarle via dal corpo, ma sapeva essere solo una sensazione immaginaria: morire non le era concesso, sentiva ancora l’immortalità pulsare nel suo petto, come una macchina instancabile. “Potrei restare qui. Rimanere per sempre sul fondo del mare. Nessuno mi troverebbe. Nessuno mi cercherebbe. Forse potrei trovare quella pace che cerco da tempo, separare la mente dal corpo e navigare tra queste acque in eterno”. Questi pensieri la inondarono di una speranza che non aveva mai conosciuto prima: la speranza di un vita pacifica, senza niente di cui preoccuparsi e nulla da cui scappare. Il suo corpo si adagiò con delicatezza sul fondo marino e la sabbia alzata dal suo attrito col suolo le oscurò la vista per un istante. Successivamente ci fu solo luce. Mille raggi di una Luna ormai dimenticata le perforarono la pelle, facendo brillare la sabbia intorno a lei. Si sentiva bene. Il mondo era fermo e il rumore scomparso. Tutte quelle voci nella sua testa finalmente tacevano. Chiuse gli occhi e assaporò quel momento, lungo un’eternità e nemmeno un istante.
Anastasia Bezhenar
IISS B. Russell - Garbagnate Mil. Classe 1ª
La vita si contrappone alla morte come il movimento alla stasi. È da questo contrasto che scaturisce l’anelito romantico verso “un momento lungo un’eternità e nemmeno un istante”: un istante talmente denso da fungere da degno contraltare al vuoto protratto. Il racconto rovescia abilmente questa cornice, elevando l’abisso ad antidoto irraggiungibile per la vita, ridotta a mero rumore bianco da entità e voci persecutorie. La protagonista, ambigua sintesi di purezza e peccato, si inserisce perfettamente nel contesto onirico della narrazione, e impreziosisce l’abbandono alla “morte in vita” con una delicatezza sommessa, ma non priva di intensità. Complimenti all’autrice per l’originalità, la scrittura agile, l’eleganza, e, soprattutto, la raffinata sensibilità.
Mattia Pedota
Correva.
Sognava di avere dei comodi sandali, ma i piedi si ferivano sul selciato. Sognava il sole, ma era una notte senza stelle. Sognava di sentire il profumo dei fiori, ma c’era solo l’odore acre del fuoco. Sognava una brezza leggera, ma aveva i capelli appiccicati al viso sudato. Sognava il suono degli uccelli, ma udiva solo grida di dolore. Sognava di poter volare, ma aveva il corpo pesante.
Sognava la libertà, ma era in catene.
Era sempre stato così.
La principessa del regno dorato si era sempre sentita prigioniera nel suo ruolo e nel suo castello. Certo, era una bella gabbia, ma pur sempre soffocante.
Fin da piccola era costretta a seguire determinate regole, indossare determinati vestiti, parlare in un certo modo.
Il fatto di non poter giocare con gli altri bambini le stringeva il cuore come il corsetto le stringeva il petto.
Crebbe nella solitudine. Interagiva solo con i maestri che si aspettavano il meglio da lei e che continuavano a ripeterle i suoi doveri, cosa potesse e non potesse fare.
L’unica sua compagnia erano le storie che leggeva. Ogni giorno guardava fuori dalla finestra e si immaginava di essere al fianco dei personaggi delle poesie. Si immaginava al fianco dell’eroe che sconfigge il drago, anche se lei non poteva neanche imparare a salire a cavallo in quanto ragazza. Immaginava di innamorarsi e scappare con la persona amata, anche se sapeva che sarebbe stata data in sposa a un altro re per stringere alleanze favorevoli al suo regno.
Viveva nella sua fantasia. Forse sbagliava, ma che male c’era nel superare la realtà vivendo nei sogni?
Avrebbe voluto volare come gli uccelli che vedeva dalla finestra, ma le uniche ali che possedeva erano le sue fantasie.
Era la principessa, ma non si sentiva a casa nel luogo dorato dove era nata e cresciuta.
Non sentiva suo quel regno.
Non che un giorno lo sarebbe stato.
Il titolo di re sarebbe andato a suo fratello minore, che aveva visto poche volte in vita sua. Così come i “suoi” sudditi. Solo nelle parate in cui la famiglia reale sfoggiava la sua ricchezza le era permesso uscire. Questo perché i suoi genitori erano convinti che, tenendola nascosta il più possibile, avrebbero destato la curiosità di più re disposti a sposarla. Negli altri regni era conosciuta come “Il gioiello nascosto”.
Era solo una merce di scambio.
Seduta sui comodi cuscini della lettiga sentiva i commenti delle ragazze che la guardavano. Volevano essere belle come lei, erano invidiose: avrebbero voluto essere loro le principesse.
Lei, invece, doveva sempre ricacciare giù la risata amara che le saliva dal profondo del cuore. Avrebbe voluto urlare: <<Accomodatevi, non ho mai voluto questo titolo >>. Solo lei sapeva delle lacrime silenziose che versava la notte. Della solitudine. Della voglia di avere degli amici, di poter ridere.
Ogni sera si stringeva nelle coperte e sognava una vita diversa. E ogni mattina si svegliava con la consapevolezza che non sarebbe mai cambiato niente.
Le faceva stare bene immaginarsi una vita fatta di divertimento e avventure, anche se non avrebbe mai cambiato la realtà.
Lei era la principessa. Il suo compito sarebbe sempre stato quello di essere la ragazza perfetta e impeccabile e, un giorno, di essere una moglie da sogno e una madre amorevole, anche se non aveva mai ricevuto amore.
L’amore, infatti, lo aveva vissuto solo nelle poesie che leggeva.
Il suo peggior incubo si avverò a 19 anni: il re di un regno guerriero voleva stringere un’alleanza con suo padre. Insieme, il regno più ricco e quello con la maggior forza bellica, sarebbero stati inarrestabili.
Tutti sapevano che, volendo, il monarca guerriero poteva schiacciare il piccolo regno dorato. L’unico modo per suggellare in modo sicuro questa alleanza era un matrimonio.
Suo padre la informò del matrimonio un mese prima della cerimonia. Lo annunciò durante la solita cena svolta in religioso silenzio.
Per un attimo perse contatto con la realtà. Si immaginava che una guardia sul perimetro della sala si facesse avanti e dichiarasse il suo amore per lei, per poi prenderle la mano e scappare. Ovviamente non successe niente del genere... è una cosa che può accadere solo nelle storie inventate.
Sentiva pulsare il cuore nelle tempie e la testa girare.
Avrebbe voluto piangere, urlare, cercare di provocare rimorso o sofferenza sul viso di pietra del re, ma sapeva che, qualunque cosa avesse fatto, non avrebbe sortito alcun effetto. Lei era la principessa, il gioiello nascosto, la merce di scambio. Lui, il padre, era il re che doveva assicurare il meglio per il suo regno.
Non rispose. Le si era chiuso lo stomaco. Avrebbe voluto vomitare, ma non poteva alzarsi dal tavolo se prima non avesse finito tutto quello che era nel piatto e, comunque sia, avrebbe dovuto aspettare che il re e la regina andassero a coricarsi. Così strinse la posata e continuò a mangiare.
Non si ricordò come riuscì ad arrivare nella sua stanza, ma si ricordò delle urla contro il cuscino. Passò l’ennesima notte a piangere. Aveva paura, ma non aveva nessuno che la confortasse dai suoi incubi.
La mattina dopo la sua domestica la rimproverò per essere andata a dormire con lo stesso abito del giorno prima e per i suoi occhi gonfi.
Il suo maestro di canto la rimproverò per la voce rauca.
La sua insegnante di danza la rimproverò per la sua scarsa concentrazione.
Il mese passò più velocemente di quanto volesse.
La sarta aveva appena finito di aggiustarle il velo quando sua madre entrò mandandola via.
La principessa la guardò negli occhi e vide un profondo dolore.
La sentì a stento sussurrare:<<Se solo fossi nata maschio >>.
Poi la regina si ricompose:<<Fai quello che ti dirà tuo marito, accontentalo sempre e non dovrebbe farti del male >>.
La ragazza ricordò che sua madre dovette sposarsi quando aveva 15 anni e aveva provato anche lei quello che stava provando: adesso, era una donna che viveva nell’ombra del marito. Ogni parola che usciva dalle labbra di lui lei l’assecondava.
Non voleva finire come sua madre.
<<Potrei stare un attimo da sola? >>
Vide la sua espressione addolorata.
<<Solo qualche minuto >>
La regina si chiuse le porte alle spalle.
Si tolse i sandali e il velo. Strappò lo strascico del vestito e sbrigliò l’elaborata acconciatura. Spalancò la finestra e salendo sul mobile uscì nei giardini.
Tutte le guardie erano all’ingresso del castello e il vantaggio di passare ore in biblioteca era quello di trovare libri antichi con su scritto la piantina e i passaggi segreti. Si immaginò di avere affianco i suoi eroi.
<<Principessa, vuoi davvero permettere che decidano ancora della tua vita? >>
<<No>>
<<E allora spezza le tue catene e sii libera>>
Non si sarebbe sposata quel giorno.
Il pensiero dei personaggi delle storie le diede coraggio e iniziò a correre.
Aveva il fiatone. Non era abituata, ma non si fermò poiché sapeva bene cosa doveva fare. Sarebbe arrivata nel suo posto preferito in assoluto: un piccolo molo inutilizzato vicino al fiume. Ci si rifugiava sempre quando non aveva le lezioni. Lì c’era una barca a remi abbandonata che avrebbe preso per raggiungere il mare e poi... la libertà.
La città era deserta. Tutti i cittadini erano raccolti in attesa del suo matrimonio. Aveva appena superato i confini quando sentì le urla: vide il castello in fiamme, i guerrieri del suo promesso sposo avevano estratto le spade e le guardie del suo regno iniziarono a difendere il popolo e a chiamare il suo nome.
Il suo matrimonio era per suggellare un patto. Senza la celebrazione non ci sarebbe stata alcuna alleanza; senza alleanza i due regni erano in guerra.
Era tentata di fare ritorno. Non sopportava quelle urla di dolore che la pregavano. Fin quando l’eroe al suo fianco parlò.
<<È meglio vivere con il rimorso o vivere come moglie di un barbaro? >>
Prese la sua scelta e continuò a correre allontanandosi dal castello.
Le tremavano i muscoli, ma l’eroe continuava a incitarla.
Poteva riposare una volta raggiunto il molo.
Solo un altro passo.
Una volta raggiunto le cedettero le gambe. Si permise di riprendere fiato.
Passarono svariati minuti quando sentì dei passi.
Cercò di alzarsi sugli arti malfermi quando vide una guardia del castello. Fu invasa dal terrore. L’avrebbe trascinata al suo matrimonio. Nascose il tremito della sua voce.
<<Che cosa ci fai tu qui? >>
<<Dovrei farvi la stessa domanda, principessa >>
Poi osservò il volto pallido e le mani scosse da spasmi. Era terrorizzato. Lei decise di giocare la sua carta.
<<Come hai fatto a trovarmi? >>
<<Sono responsabile della sicurezza del castello e della famiglia reale. Credevate davvero che non sapessi dove andavate durante le vostre fughe? >>
<<Sei qui per riportarmi dal mio promesso sposo? >>
Fu scosso da una violenta risata.
<<Pensate che il vostro ritorno possa cambiare qualcosa? Ci stanno sterminando. Donne, bambini, uomini, ogni cittadino è morto perché voi non avete preso le vostre responsabilità. Il regno dorato cadrà >>
<<E perché tu non sei lì a morire con loro? Perché non sei a proteggere quante più persone possibili? >>
La guardò per un attimo prima di abbassare lo sguardo.
<<Non voglio morire >>
Lo disse con un tono così profondo da confondersi con il fruscio del vento.
<<Perché ci avete fatto questo principessa? Tutto questo non sarebbe successo se vi foste spostata. Perché siete scappata? >>
Un moto di rabbia la fece tremare. Lui aveva giurato di morire per la salvezza del regno. Lui aveva scelto di far parte della guardia reale. Nessuno lo aveva mai obbligato. E adesso giudicava le sue scelte.
<<Prova a immaginare se fossi tu il principe. Ti andrebbe bene se tu fossi obbligato a sposare una regina con molti più anni di te, che non hai mai visto, solo per stringere un’alleanza? A portare il fardello di un titolo che non hai mai voluto? Come ti sentiresti se non avessi voce in capitolo nella tua stessa vita? >>
<<Come mi sento io non è importante, avrei fatto il mio dovere come principe >>
<<Come stai facendo ora? >>
Passarono secondi interminabili di silenzio che lei ruppe dicendo:<<Possiamo iniziare da capo, prendere il mare e vivere come decideremo noi>>
<<Non pensate a tutte quelle vite che si stanno spegnendo a causa vostra? >>
<<Non immaginavo che sarebbe finita così>>
<<Sarebbe cambiato qualcosa >>
<<Non lo so >>
Le spalle della guardia si incurvarono sotto un peso invisibile, gli occhi si incupirono quando si avviò verso la barca.
<<Andiamo principessa >>.
Non parlarono per tutto il tragitto lungo il fiume. Ormai il sole era tramontato e un unico pensiero riempiva la mente della ragazza.
<<Se avessi saputo che sarebbe finita così, mi sarei sposata? >>
La risposta che si dette la spaventò.
Quando una persona smette di potersi definire tale e diventa un mostro?
Le sue mani erano sporche del sangue di persone innocenti, del suo popolo. Ma lì le loro urla erano nascoste dallo scrosciare del fiume. Lei voleva vivere, non sopravvivere. Voleva sentire il calore della felicità. Non riusciva ad immaginare gli orrori della guerra quando pensava alla vita che la aspettava.
La luna era così luminosa che non riusciva a pensare alle tenebre.
L’idea del sole era così meravigliosa che non sentiva il freddo della notte.
Raggiunsero il mare e l’uomo sembrava sicuro della direzione da prendere.
Fin quando non si fermò, fischiò tre volte, la guardò negli occhi e disse:<<Mi dispiace>>.
Lei non capì quando vide spuntare delle lanterne su un enorme galeone. Non capì quando vide tante piccole barche circondare la sua imbarcazione. Non capì quando delle mani ruvide le legarono le mani dietro alla schiena. Non capì quando fu caricata sul ponte della nave. Non capì quando si trovò davanti ad un uomo stretto in abiti eleganti. Non capì quando quest’ultimo si rivolse alla sua guardia dicendo:<<Ottimo lavoro soldato, appena conquisteremo questo piccolo regno sarai degnamente ricompensato per aver riportato la mia promessa sposa >>.
E poi capì.
La guardia reale era sopravvissuta al massacro perché aveva un compito da svolgere. Portarla al cospetto del re guerriero. D’altronde lui aveva paura della morte e, così aveva ottenuto la sua possibilità di vivere. Così, come lei, anche lui era scappato dalle sue responsabilità.
Tremava mentre l’uomo passò lo sguardo sul suo corpo.
<<Sai dolce principessa, il denaro del tuo regno mi ha sempre allettato, ma ho sempre desiderato avere una bella donna al mio fianco. Avrei potuto dichiarare guerra e prendermi le risorse di questo territorio, ma sentendo le storie sul gioiello nascosto e sulla sua bellezza ho deciso che mi sarebbe bastato stringere un’alleanza. Invece tu sei scappata. Avresti potuto essere una regina>>
<<Adesso che avete iniziato gli scontri io non vi servo più, dico bene? >>
<<Piccola ragazzina, non hai ancora capito? Io ottengo sempre quello che voglio e ora ce l’ho davanti >>
Aveva lo stomaco stretto nella morsa della paura. Le gambe rischiavano di cedere da un momento all’altro. Le lacrime salate scendevano copiose.
La afferrò per un braccio e la trascinò al parapetto del galeone.
<<Ammira il tuo regno mentre brucia >>
D’un tratto prese contatto con la realtà.
Vide le cittadine sulla costa attaccate dai cannoni. Distolse lo sguardo e lo abbassò sulle onde. Vide delle sirene nuotare tranquille che la chiamavano dicendo che nessuno le avrebbe fatto del male se si fosse tuffata.
Sarebbe stato tutto finito.
Una mano le tirò i capelli e il fuoco fu di nuovo nella sua visuale.
<<Non tutte le storie hanno un lieto fine, principessa>>.
Si rese conto che su quella barca non aveva mai visto la luna.
Quella era una notte buia, senza stelle. L’unica luce proveniva dagli incendi. Gli unici suoni erano urla di dolore.
Le sue fantasie non potevano più salvarla, non potevano più farla stare meglio.
Le avevano tarpato le ali.
Aveva sperato. Aveva quasi sentito il sole sulla pelle.
Si era sentita libera per qualche istante, ma adesso le catene pesavano più di prima.
Il suo nuovo incubo era appena iniziato e lei ne era la causa.
Karola Piccoli
Liceo E. Majorana - Rho Classe 3ª
È una storia che racconta la disperata solitudine - culminata in una fuga altrettanto disperata - della protagonista. La principessa del regno dorato è ben consapevole delle proprie limitazioni, delle privazioni e delle imposizioni che costellano la propria vita. Cresciuta in solitudine, in una gabbia luccicante, si trova a un certo punto a dover prendere una drastica decisione: sottostare al matrimonio combinato oppure scegliere la fuga, senza una precisa meta. Il matrimonio sarebbe servito a suggellare un patto, e la decisione di scappare crea una guerra contro il regno del pretendente, con ogni logica conseguenza e un finale forse un po’ spietato.
Le metafore sono tante, ma fondamentalmente racchiuse nel tormentato mondo dell’adolescenza, nel quale molte scelte ci appaiono come imposte. Prima di giungere ad un auspicabile equilibrio, si combatte spesso col mondo e con sé stessi, per trovare la strada verso una vita adulta che sia il più serena possibile.
Una buona prova, suffragata dalla vivace fantasia e da un intreccio di situazioni ben delineate. Un finale forse un pochino crudo, come anticipato, ma che offre ulteriori spunti di riflessione.
Roberto Mosca
Correva.
Sognava di avere dei comodi sandali, ma i piedi si ferivano sul selciato. Sognava il sole, ma era una notte senza stelle. Sognava di sentire il profumo dei fiori, ma c’era solo l’odore acre del fuoco. Sognava una brezza leggera, ma aveva i capelli appiccicati al viso sudato. Sognava il suono degli uccelli, ma udiva solo grida di dolore. Sognava di poter volare, ma aveva il corpo pesante.
Sognava la libertà, ma era in catene.
Era sempre stato così.
La principessa del regno dorato si era sempre sentita prigioniera nel suo ruolo e nel suo castello. Certo, era una bella gabbia, ma pur sempre soffocante.
Fin da piccola era costretta a seguire determinate regole, indossare determinati vestiti, parlare in un certo modo.
Il fatto di non poter giocare con gli altri bambini le stringeva il cuore come il corsetto le stringeva il petto.
Crebbe nella solitudine. Interagiva solo con i maestri che si aspettavano il meglio da lei e che continuavano a ripeterle i suoi doveri, cosa potesse e non potesse fare.
L’unica sua compagnia erano le storie che leggeva. Ogni giorno guardava fuori dalla finestra e si immaginava di essere al fianco dei personaggi delle poesie. Si immaginava al fianco dell’eroe che sconfigge il drago, anche se lei non poteva neanche imparare a salire a cavallo in quanto ragazza. Immaginava di innamorarsi e scappare con la persona amata, anche se sapeva che sarebbe stata data in sposa a un altro re per stringere alleanze favorevoli al suo regno.
Viveva nella sua fantasia. Forse sbagliava, ma che male c’era nel superare la realtà vivendo nei sogni?
Avrebbe voluto volare come gli uccelli che vedeva dalla finestra, ma le uniche ali che possedeva erano le sue fantasie.
Era la principessa, ma non si sentiva a casa nel luogo dorato dove era nata e cresciuta.
Non sentiva suo quel regno.
Non che un giorno lo sarebbe stato.
Il titolo di re sarebbe andato a suo fratello minore, che aveva visto poche volte in vita sua. Così come i “suoi” sudditi. Solo nelle parate in cui la famiglia reale sfoggiava la sua ricchezza le era permesso uscire. Questo perché i suoi genitori erano convinti che, tenendola nascosta il più possibile, avrebbero destato la curiosità di più re disposti a sposarla. Negli altri regni era conosciuta come “Il gioiello nascosto”.
Era solo una merce di scambio.
Seduta sui comodi cuscini della lettiga sentiva i commenti delle ragazze che la guardavano. Volevano essere belle come lei, erano invidiose: avrebbero voluto essere loro le principesse.
Lei, invece, doveva sempre ricacciare giù la risata amara che le saliva dal profondo del cuore. Avrebbe voluto urlare: «Accomodatevi, non ho mai voluto questo titolo ». Solo lei sapeva delle lacrime silenziose che versava la notte. Della solitudine. Della voglia di avere degli amici, di poter ridere.
Ogni sera si stringeva nelle coperte e sognava una vita diversa. E ogni mattina si svegliava con la consapevolezza che non sarebbe mai cambiato niente.
Le faceva stare bene immaginarsi una vita fatta di divertimento e avventure, anche se non avrebbe mai cambiato la realtà.
Lei era la principessa. Il suo compito sarebbe sempre stato quello di essere la ragazza perfetta e impeccabile e, un giorno, di essere una moglie da sogno e una madre amorevole, anche se non aveva mai ricevuto amore.
L’amore, infatti, lo aveva vissuto solo nelle poesie che leggeva.
Il suo peggior incubo si avverò a 19 anni: il re di un regno guerriero voleva stringere un’alleanza con suo padre. Insieme, il regno più ricco e quello con la maggior forza bellica, sarebbero stati inarrestabili.
Tutti sapevano che, volendo, il monarca guerriero poteva schiacciare il piccolo regno dorato. L’unico modo per suggellare in modo sicuro questa alleanza era un matrimonio.
Suo padre la informò del matrimonio un mese prima della cerimonia. Lo annunciò durante la solita cena svolta in religioso silenzio.
Per un attimo perse contatto con la realtà. Si immaginava che una guardia sul perimetro della sala si facesse avanti e dichiarasse il suo amore per lei, per poi prenderle la mano e scappare. Ovviamente non successe niente del genere... è una cosa che può accadere solo nelle storie inventate.
Sentiva pulsare il cuore nelle tempie e la testa girare.
Avrebbe voluto piangere, urlare, cercare di provocare rimorso o sofferenza sul viso di pietra del re, ma sapeva che, qualunque cosa avesse fatto, non avrebbe sortito alcun effetto. Lei era la principessa, il gioiello nascosto, la merce di scambio. Lui, il padre, era il re che doveva assicurare il meglio per il suo regno.
Non rispose. Le si era chiuso lo stomaco. Avrebbe voluto vomitare, ma non poteva alzarsi dal tavolo se prima non avesse finito tutto quello che era nel piatto e, comunque sia, avrebbe dovuto aspettare che il re e la regina andassero a coricarsi. Così strinse la posata e continuò a mangiare.
Non si ricordò come riuscì ad arrivare nella sua stanza, ma si ricordò delle urla contro il cuscino. Passò l’ennesima notte a piangere. Aveva paura, ma non aveva nessuno che la confortasse dai suoi incubi.
La mattina dopo la sua domestica la rimproverò per essere andata a dormire con lo stesso abito del giorno prima e per i suoi occhi gonfi.
Il suo maestro di canto la rimproverò per la voce rauca.
La sua insegnante di danza la rimproverò per la sua scarsa concentrazione.
Il mese passò più velocemente di quanto volesse.
La sarta aveva appena finito di aggiustarle il velo quando sua madre entrò mandandola via.
La principessa la guardò negli occhi e vide un profondo dolore.
La sentì a stento sussurrare:«Se solo fossi nata maschio ».
Poi la regina si ricompose:«Fai quello che ti dirà tuo marito, accontentalo sempre e non dovrebbe farti del male ».
La ragazza ricordò che sua madre dovette sposarsi quando aveva 15 anni e aveva provato anche lei quello che stava provando: adesso, era una donna che viveva nell’ombra del marito. Ogni parola che usciva dalle labbra di lui lei l’assecondava.
Non voleva finire come sua madre.
«Potrei stare un attimo da sola? »
Vide la sua espressione addolorata.
«Solo qualche minuto »
La regina si chiuse le porte alle spalle.
Si tolse i sandali e il velo. Strappò lo strascico del vestito e sbrigliò l’elaborata acconciatura. Spalancò la finestra e salendo sul mobile uscì nei giardini.
Tutte le guardie erano all’ingresso del castello e il vantaggio di passare ore in biblioteca era quello di trovare libri antichi con su scritto la piantina e i passaggi segreti. Si immaginò di avere affianco i suoi eroi.
«Principessa, vuoi davvero permettere che decidano ancora della tua vita? »
«No»
«E allora spezza le tue catene e sii libera»
Non si sarebbe sposata quel giorno.
Il pensiero dei personaggi delle storie le diede coraggio e iniziò a correre.
Aveva il fiatone. Non era abituata, ma non si fermò poiché sapeva bene cosa doveva fare. Sarebbe arrivata nel suo posto preferito in assoluto: un piccolo molo inutilizzato vicino al fiume. Ci si rifugiava sempre quando non aveva le lezioni. Lì c’era una barca a remi abbandonata che avrebbe preso per raggiungere il mare e poi... la libertà.
La città era deserta. Tutti i cittadini erano raccolti in attesa del suo matrimonio. Aveva appena superato i confini quando sentì le urla: vide il castello in fiamme, i guerrieri del suo promesso sposo avevano estratto le spade e le guardie del suo regno iniziarono a difendere il popolo e a chiamare il suo nome.
Il suo matrimonio era per suggellare un patto. Senza la celebrazione non ci sarebbe stata alcuna alleanza; senza alleanza i due regni erano in guerra.
Era tentata di fare ritorno. Non sopportava quelle urla di dolore che la pregavano. Fin quando l’eroe al suo fianco parlò.
«È meglio vivere con il rimorso o vivere come moglie di un barbaro? »
Prese la sua scelta e continuò a correre allontanandosi dal castello.
Le tremavano i muscoli, ma l’eroe continuava a incitarla.
Poteva riposare una volta raggiunto il molo.
Solo un altro passo.
Una volta raggiunto le cedettero le gambe. Si permise di riprendere fiato.
Passarono svariati minuti quando sentì dei passi.
Cercò di alzarsi sugli arti malfermi quando vide una guardia del castello. Fu invasa dal terrore. L’avrebbe trascinata al suo matrimonio. Nascose il tremito della sua voce.
«Che cosa ci fai tu qui? »
«Dovrei farvi la stessa domanda, principessa »
Poi osservò il volto pallido e le mani scosse da spasmi. Era terrorizzato. Lei decise di giocare la sua carta.
«Come hai fatto a trovarmi? »
«Sono responsabile della sicurezza del castello e della famiglia reale. Credevate davvero che non sapessi dove andavate durante le vostre fughe? »
«Sei qui per riportarmi dal mio promesso sposo? »
Fu scosso da una violenta risata.
«Pensate che il vostro ritorno possa cambiare qualcosa? Ci stanno sterminando. Donne, bambini, uomini, ogni cittadino è morto perché voi non avete preso le vostre responsabilità. Il regno dorato cadrà »
«E perché tu non sei lì a morire con loro? Perché non sei a proteggere quante più persone possibili? »
La guardò per un attimo prima di abbassare lo sguardo.
«Non voglio morire »
Lo disse con un tono così profondo da confondersi con il fruscio del vento.
«Perché ci avete fatto questo principessa? Tutto questo non sarebbe successo se vi foste spostata. Perché siete scappata? »
Un moto di rabbia la fece tremare. Lui aveva giurato di morire per la salvezza del regno. Lui aveva scelto di far parte della guardia reale. Nessuno lo aveva mai obbligato. E adesso giudicava le sue scelte.
«Prova a immaginare se fossi tu il principe. Ti andrebbe bene se tu fossi obbligato a sposare una regina con molti più anni di te, che non hai mai visto, solo per stringere un’alleanza? A portare il fardello di un titolo che non hai mai voluto? Come ti sentiresti se non avessi voce in capitolo nella tua stessa vita? »
«Come mi sento io non è importante, avrei fatto il mio dovere come principe »
«Come stai facendo ora? »
Passarono secondi interminabili di silenzio che lei ruppe dicendo:«Possiamo iniziare da capo, prendere il mare e vivere come decideremo noi»
«Non pensate a tutte quelle vite che si stanno spegnendo a causa vostra? »
«Non immaginavo che sarebbe finita così»
«Sarebbe cambiato qualcosa »
«Non lo so »
Le spalle della guardia si incurvarono sotto un peso invisibile, gli occhi si incupirono quando si avviò verso la barca.
«Andiamo principessa ».
Non parlarono per tutto il tragitto lungo il fiume. Ormai il sole era tramontato e un unico pensiero riempiva la mente della ragazza.
«Se avessi saputo che sarebbe finita così, mi sarei sposata? »
La risposta che si dette la spaventò.
Quando una persona smette di potersi definire tale e diventa un mostro?
Le sue mani erano sporche del sangue di persone innocenti, del suo popolo. Ma lì le loro urla erano nascoste dallo scrosciare del fiume. Lei voleva vivere, non sopravvivere. Voleva sentire il calore della felicità. Non riusciva ad immaginare gli orrori della guerra quando pensava alla vita che la aspettava.
La luna era così luminosa che non riusciva a pensare alle tenebre.
L’idea del sole era così meravigliosa che non sentiva il freddo della notte.
Raggiunsero il mare e l’uomo sembrava sicuro della direzione da prendere.
Fin quando non si fermò, fischiò tre volte, la guardò negli occhi e disse:«Mi dispiace».
Lei non capì quando vide spuntare delle lanterne su un enorme galeone. Non capì quando vide tante piccole barche circondare la sua imbarcazione. Non capì quando delle mani ruvide le legarono le mani dietro alla schiena. Non capì quando fu caricata sul ponte della nave. Non capì quando si trovò davanti ad un uomo stretto in abiti eleganti. Non capì quando quest’ultimo si rivolse alla sua guardia dicendo:«Ottimo lavoro soldato, appena conquisteremo questo piccolo regno sarai degnamente ricompensato per aver riportato la mia promessa sposa ».
E poi capì.
La guardia reale era sopravvissuta al massacro perché aveva un compito da svolgere. Portarla al cospetto del re guerriero. D’altronde lui aveva paura della morte e, così aveva ottenuto la sua possibilità di vivere. Così, come lei, anche lui era scappato dalle sue responsabilità.
Tremava mentre l’uomo passò lo sguardo sul suo corpo.
«Sai dolce principessa, il denaro del tuo regno mi ha sempre allettato, ma ho sempre desiderato avere una bella donna al mio fianco. Avrei potuto dichiarare guerra e prendermi le risorse di questo territorio, ma sentendo le storie sul gioiello nascosto e sulla sua bellezza ho deciso che mi sarebbe bastato stringere un’alleanza. Invece tu sei scappata. Avresti potuto essere una regina»
«Adesso che avete iniziato gli scontri io non vi servo più, dico bene? »
«Piccola ragazzina, non hai ancora capito? Io ottengo sempre quello che voglio e ora ce l’ho davanti »
Aveva lo stomaco stretto nella morsa della paura. Le gambe rischiavano di cedere da un momento all’altro. Le lacrime salate scendevano copiose.
La afferrò per un braccio e la trascinò al parapetto del galeone.
«Ammira il tuo regno mentre brucia »
D’un tratto prese contatto con la realtà.
Vide le cittadine sulla costa attaccate dai cannoni. Distolse lo sguardo e lo abbassò sulle onde. Vide delle sirene nuotare tranquille che la chiamavano dicendo che nessuno le avrebbe fatto del male se si fosse tuffata.
Sarebbe stato tutto finito.
Una mano le tirò i capelli e il fuoco fu di nuovo nella sua visuale.
«Non tutte le storie hanno un lieto fine, principessa».
Si rese conto che su quella barca non aveva mai visto la luna.
Quella era una notte buia, senza stelle. L’unica luce proveniva dagli incendi. Gli unici suoni erano urla di dolore.
Le sue fantasie non potevano più salvarla, non potevano più farla stare meglio.
Le avevano tarpato le ali.
Aveva sperato. Aveva quasi sentito il sole sulla pelle.
Si era sentita libera per qualche istante, ma adesso le catene pesavano più di prima.
Il suo nuovo incubo era appena iniziato e lei ne era la causa.
Ludovico Andreoli
IISS B. Russell - Garbagnate Mil. Classe 2ª
Il racconto ci porta in un mondo a metà fra il fantasy e la realtà. La narrazione è racchiusa nel rapporto fra un’anziana signora e una bambina e attraverso la storia narrata alla giovane passiamo dalla dimensione della nostra realtà a un mondo alternativo popolato da fate, incantesimi e principesse.
Come nel titolo “Memoria”, si sottolinea l’importanza del ricordo e del suo passaggio alle nuove generazioni.
Maria Grazia Cislaghi
Salire, salire, salire. È solo questione di salire. Ma continuando così, non arriverò mai alla vetta. E se non ci posso arrivare, perché continuare a scalare? Ogni passo mi richiede sempre di più della mia scarsa energia. Che fatica! È se non ci fosse proprio una cima? Dicono di averla vista, di esserci arrivati, ma noi non lo sappiamo, non possiamo saperlo.
Guardo in alto.
Ne vale veramente la pena? Mi sentirei realizzato se riuscissi nell’impresa? E se senza l’idea, l’obbiettivo, il traguardo, non mi rimanesse più niente, se non il mio senso di vuoto e le mie bugie. Sarei veramente in grado di affrontare me stesso? Sarei veramente felice? Felice… questa parola mi par priva di significato, ma questo non vale anche per tutte le altre? E se quando arrivo scopro che quella non era affatto la cima, poiché c’è ne è un’altra, ancora più lontana e difficile da raggiungere? Continuerei comunque il mio futile cammino?
Troppe domande, troppe paranoie, la mia mente deve concentrarsi solo su una cosa: salire, salire, salire. O così dicono di fare. Ma se volessi scegliere un’altra strada, se mi fermassi qui ed ora e concedessi un po’ di riposo alle mie gambe stanche, stanche di continuare ad andare avanti?
Guardo di fronte a me.
Potrei accontentarmi della mia piccola normalità, duramente guadagnata. Ma questo non renderebbe inutile tutta la mia fatica, tutto il mio tempo? È giusto rinnegare me stesso e i miei principi per accontentarmi della mediocrità? Questo, mi renderebbe felice? Mi ritorna ancora una volta alla mente questa maledetta parola. Ma perché perderci tempo, non è il mio obbiettivo, il mio obbiettivo è la vetta e per raggiungerlo posso fare solo una cosa: salire, salire, salire. Ma poi mi soggiunge un piccolo, innocuo pensiero e per la prima volta dopo tanto tempo, mi fermo. Ho sempre avuto la mente focalizzata verso un’unica direzione, l’alto, ma essa non è l’unica possibile.
Guardo in basso.
È buio, freddo, profondo, ma accogliente e vacuo, vacuo proprio come me. Mi sento più vicino all’abisso che non alla cima. Allora prendo una semplice decisione, che non richiede fatica, ne energia: mollo. Mollo per sentirmi libero, libero da futili pesi e da traguardi irraggiungibili. Mollo per allontanarmi dalla vetta. Mollo perché non avevo niente di meglio da fare. Mollo e cado.
Cado e sorrido.
Elia Pizzocolo
IISS B. Russell - Garbagnate Mil. Classe 2ª
Il racconto rappresenta la metafora della scalata a una montagna dietro la quale forse si celano altre vette ancora più alte e difficili da raggiungere. La durezza del cammino e l’incertezza che accompagna il protagonista racchiudono i sentimenti che tutti abbiamo e le numerose domande che ci poniamo, soprattutto nelle fasi della vita nelle quali siamo giovani.
È sicuro che la determinazione e un approccio rigoroso, quasi monolitico, ci porteranno verso la vetta giusta per noi? Oppure, come evidenziato nella parte finale del racconto, esistono altre possibilità che forse ci spaventano, ma che possono rivelarsi più adatte a noi?
La società, il mondo, ci vogliono sempre più forti, determinati ad andare avanti senza ripensamenti, ma tante domande affollano la mente dell’autore, che lo portano a riflettere se è questo il modo corretto di vivere o si possa guardare non più verso la vetta, ma verso il basso per essere liberi da traguardi irraggiungibili.
La risposta sta a noi cercarla nel nostro essere.
Maria Grazia Cislaghi