Neppure la pandemia li può fermare. Sia pur tra tante limitazioni, accorgimenti e rinunce, la ricorrenza laica delle poesie dei nostri ragazzi è andata comunque in onda. Sì, in onda anziché in scena, perché, è verosimile, in quella strana primavera per molti di loro come per molti di noi, le relazioni sociali sono state veicolate come mai prima nella storia dell’uomo, dall’etere, quando non via cavo, aprendoci ad un’ipotesi di futuro ambivalente: tanto innovativo quanto distopico. Per questo comunque inquieto. Così, la ventitreesima edizione sarà indimenticabile. Per la prima volta, qui come altrove, non dimenticheremo ciò che è accaduto nel 2020, non confonderemo questa edizione con altre come, nostro malgrado, accade spesso nella routine degli avvenimenti e nel passare veloce delle stagioni. Ricorderemo come abbiamo vissuto quello strano presente chiusi in casa gomito a gomito con degli “sconosciuti”: i nostri ragazzi, che abbiamo imparato a riconoscere, mangiando alla stessa tavola, infornando insieme il pane, condividendo ore serali, ora improvvisamente libere dalle nostre ansie per il rientro tardivo dalla discoteca o da plumbei e claustrofobici locali, da riempire con cose da fare che avevamo dimenticato in un tempo lontano della loro infanzia. Certo, anche se un po’ impauriti, ci siamo beati della ritrovata intimità, ma cosa sarà invece accaduto a loro? Allora non può accadere che nelle poesie si ritrovi parte di questo tempo sospeso? Da un lato l’ansia per un possibile futuro deprivato chiusi com’eravamo nella prigione (perlopiù) dorata di casa propria, la solitudine delle relazioni interpersonali filtrate dalle algide piattaforme elettroniche dei nostri smartphone, il paradosso del nemico invisibile, incontrollabile, imprevedibile proprio nell’età dove tutto è invece appare possibile. Dall’altra, la fine della frenesia come metronomo delle nostre giornate, la riscoperta di un altro mondo ecologicamente possibile, il senso dimenticato di una comunità solidale che del male comune ha fatto il suo mezzo gaudio. Ora, se anche la “normalità” prima o poi tornerà prepotente nelle nostre vite, ai nostri ragazzi con le loro poesie, ai tanti artisti con le loro opere, a tutti coloro che con la cultura hanno costruito preziosi scrigni di memoria, dovremmo riservare un sentimento di gratitudine per averci conservato momenti unici della nostra vita, forse irripetibili. La stessa riconoscenza che dobbiamo a coloro i quali, insegnati, funzionari, semplici appassionati, più testardi della pandemia e dei tagli delle risorse pubbliche, hanno consentito tutto questo.
Giuseppe Augurusa
(Assessore Cultura Città di Arese)
Calendimaggio resiste, in questo periodo difficile, e continua a raccogliere poesia, frutti del pensiero e della sensibilità di tanti giovani che si sono ritrovati nel mezzo di questa pandemia. La poesia resta, vive e ci fa vivere anche (e forse soprattutto) nei periodi più difficili. Questo è frutto dell’impegno di chi in questi mesi ha continuato a credere nella bellezza delle parole e all’importanza di portare avanti il concorso che da tanti anni coinvolge bambini e ragazzi della nostra città e che li spinge a sperimentare questa forma di espressione. Ora andiamo avanti e proviamo a ripartire, confortati e guidati dalla poesia, che oggi, ancora più di ieri, ci aiuta a guardare al futuro con fiducia e speranza.
Valentina Giro
(Assessora Cultura Città di Rho)
Alice Serrao - Poetessa, laureata in Filologia, Docente di lingua Italiana e Latina presso il Liceo Classico Clemente Rebora di Rho, ha fatto parte del gruppo Culturale “La Spera” e coordina un gruppo di giovani poeti “Altre Rime”.
Maria Grazia Cislaghi - Già Dirigente della Biblioteca Comunale di Arese, collaboratrice di numerose attività culturali, tra cui la presentazione di libri.
Ombretta Degli Incerti - Già Preside del Liceo Classico Clemente Rebora e Presidente del Distretto scolastico.
Adriano Molteni - Scrittore e poeta premiato in Italia e all’estero per le sue opere, membro di giuria di premi nazionali, ha ideato e realizzato in team il Palio della Città di Rho nel 1996.
Mattia Pedota - Docente universitario di Economia Industriale al Politecnico di Milano e alla MIP Business School e consulente freelance. I suoi articoli, conseguenti le attività di ricerca scientifica, sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali.
Piero Airaghi - Diplomato all’Accademia delle Belle Arti di Brera, organizzatore e animatore di iniziative culturali, è fondatore del Premio Nazionale di Pittura Il Pomero, ed è stato insignito del premio “Ambrogino d’oro” dal Comune di Milano.
Roberto Mosca - Autore di poesie e prose, collabora con centri di lettura, scuole ed associazioni per la promozione di eventi culturali.
Toccai la sua pelle,
sentii il freddo bollente.
Sentii il caldo ghiacciato.
Nel suo respiro,
la vita presente.
Nella sua mano,
quel che è passato.
E poi qualcuno
che urlava,
chiamava.
Cercai con lo sguardo,
la vidi seduta,
oltre quel velo di tristezza temuta.
Oltre quel verde di boschi infiniti,
di desideri mai realizzati.
L’anima a pezzi riprendeva il suo cammino,
saliva i gradini,
gradini di prove sconfitte e vittorie.
A quel silenzio che urlava,
si aggiunse qualcosa.
Un amico danzava,
le porse una rosa.
Migliaia di petali rossi cadevano ai suoi piedi,
scossi.
Così la vecchia amica si lasciò trasportare,
tra le braccia di quel tiepido mare;
di quell’amico si poteva fidare,
lui la fece rialzare.
Egli riprese a danzare,
ma ogni suo passo era come un battito,
in ogni istante, in ogni attimo.
Tolsi la mano, come scottata.
Il cuore l’aveva aiutata,
oramai era acqua passata.
Riuscivo quasi a vederlo ancora,
Il vecchio amico era lì che danzava.
Martina Ranieri
I.C.T. Grossi Mazzo - Rho - Classe 3ª
La vita, questo dono meraviglioso nel suo vissuto raccoglie gioia, tristezza, dolore e l’uomo non può che accettare tutto questo. Il poeta scrive che nelle mani del vecchio amico sente il respiro della sua vita, del suo presente e del suo passato. Un vissuto di speranza e di fiducia, accompagnato in ogni momento dalla forza dell’amore che pur con l’anima a pezzi le infonde sempre la forza di salire i gradini delle sconfitte e delle vittorie. Ed ecco la magia di cose vissute che emergono, l’amico e l’amica, che avvolti da migliaia di petali rossi, ritrovano la gioia del loro incontro; ed egli rivede ancora il suo vecchio amico che danzava.
Piero Airaghi
“Hai le mani grandi”
È per carezzarti meglio, per
Stringerti
Questa è una primavera che non dura, mi dici
Non ti appartengo, anche se l’albero è il tuo,
il sorriso lo stesso
Hai paura di trattenere solo
L’ombra delineata
Dai miei capelli biondi
Di vedermi camminare
Più alta, decisa
È un tramonto, pensi
Conservi ogni attimo, rassegnato
E vorrei consolarti con la certezza sicura di chi non sa niente,
di chi ingiustamente
pretende.
ma forse se cerchi quel barlume compare, acceso e vivido,
crepitante,
testimonianza di un passato che si incastra al mio presente.
Mariachiara Angelini
Media Paolo VI – Rho - Classe 2ª
Questa poesia si distingue per le parole, piene di nostalgica dolcezza, che una giovane figlia rivolge al proprio padre. Ogni verso dipinge con grazia e musicalità il sentimento di una figlia che dice al genitore: guardami, sto crescendo. La figlia guarda in modo nuovo le mani paterne che l’accarezzano da sempre, perché lei stessa è un fiore nuovo che sta cambiando, ma che preserva intatto in sé il dono della somiglianza. Il padre, invece, è l’albero robusto, sa che quella figlia è sua, ma contemporaneamente ha l’impressione che questo crescere comporti una perdita. In ogni caso l’appartenenza familiare è un legame che dura e si tramanda. Questo sentire è espresso da versi costruiti con buon equilibrio, segno di attenzione alla ricerca formale.
Alice Serrao
Quando la voglia di fuggire sale,
È quando vuoi solo evader da tutto,
Da questa banale realtà mortale.
Ripensi a quei sogni che soprattutto
Facevi spensierato da bambino,
A noi servono quelli, dopotutto.
Ideati col capo sul cuscino
Oppure a occhi aperti pervenuti
Sono il bagaglio al nostro cammino.
Mentre da alcuni sciocchi ritenuti,
Sono essenziali ad affrontar la vita
Con i suoi ostacoli sconosciuti.
Delicati al pari di una matita
Che volteggiando sul candido foglio
Dà sfogo alla mia fantasia infinita.
Lo dichiaro con moltissimo orgoglio
Non mi interessa del giudizio altrui
Sognare è la sola cosa che voglio.
Sara Marrano
Media San Carlo – Rho - Classe 3ª
La lettura di questa poesia colpisce immediatamente per alcune caratteristiche: in primo luogo è manifestamente pervasa dallo spirito giovanile di chi l’ha composta, uno spirito poetico che nella sua semplicità trasporta e cattura. Si evince inoltre la capacità di gestione del testo, che trova un buon equilibrio e denota predisposizione, una probabile abitudine alla scrittura. Ci sono versi che suonano quasi come massime, facendo con puntualità eco al titolo del componimento e al valore che viene attribuito ai sogni: “Sono il bagaglio al nostro cammino.” e ancora: “Sono essenziali ad affrontar la vita […] Delicati al pari di una matita.” Un buon esempio poetico che è un invito a provarci ancora. Con convinzione.
Roberto Mosca
Arrivano i pensieri brutti
mi avvolgono come nuvole nere
un’improvvisa tristezza mi assale e la paura
mi cammina accanto
è un attimo….
Non so perché succede
so solo che in quel pezzetto di tempo
mi manca il fiato e
ogni certezza scompare
per lasciare spazio
a un sentimento strano
quasi pungente.
Poi passa tutto
la luce si fa strada di nuovo
dentro di me.
Vedo il sorriso della mamma,
sento il suono della sua voce e il calore della sua mano.
Il buio si allontana, la paura scappa
e torna il sereno.
Camilla Rachele Bianchi Bosisio
Media S-Pellico - Arese - Classe 1ª
Questa poesia colpisce per come viene personificata la paura, che cammina aI fianco del giovane poeta e lo precipita nell’ombra di sentimenti negativi, nel buio di un’incertezza che quasi lo soffoca. È l’esperienza dell’angoscia, affrontando la quale si impara a sconfiggere i propri fantasmi e dunque a crescere. Proprio in questo gli affetti più cari ci aiutano: ci offrono un abbraccio pieno di luce che mette in salvo i nostri pensieri e ci aiuta a mettere in fuga la paura. Merito del poeta è, infine, raccontare con una lingua semplice e chiara la complessità dei sentimenti sperimentati.
Alice Serrao
Piove la notte sulle città.
Giorno dopo giorno
Susseguirsi di monotonia disarmante.
L’uomo lavoratore avanza
Catatonico
Tra i suoi estranei compagni.
Non si cura di altro
Il suo tutto finisce
al confine dei suoi margini.
Ciò che è al di fuori di lui,
e dei suoi numeri,
non lo riguarda.
Prosegue con passo cadenzato
Distrugge
Calcola
E si migliora.
O almeno crede di farlo.
E poi di nuovo.
Sconfortante asettico avvenire.
Domina il silenzio
Per le stanze,
per le strade,
nel pianeta.
Vietato
Ogni contatto o interazione.
Obbligatorio
Perseguire l’autocelebrazione e l’individualismo.
Regressione persistente del genere umano.
Gaia Sveva Zeminian
Liceo Statale E. Majorana - Rho - Classe 2ª
Uno sguardo attento e critico, un animo certamente sensibile che – a quell’età – sente l’urgenza di definire, stigmatizzandola, un’evidente immagine dei nostri tempi. Così la ‘Decadenza’ si fa bruciante canzone poetica, attraverso uno stile asciutto e curato che però non riesce a mascherare lo sdegno dell’autore, il genuino sentimento. Il componimento sembra essere una semplice fotografia pur ben scattata, un’asettica denuncia: “Piove la notte sulla città / Giorno dopo giorno” o anche “L’uomo lavoratore avanza / Catatonico / Tra i suoi estranei compagni” oppure ancora: “Obbligatorio / Perseguire l’autocelebrazione e l’individualismo”. Ma è proprio qui che si verifica la vera sublimazione del poeta: mutare un’emozione in un’altra, attraverso il ‘passaggio’ dei versi. Saper trasformare una situazione ombrosa in una denuncia, determina quello che nei Poeti e più in genere nell’essere umano è lo stimolo maggiore: l’apertura alla speranza. L’esortazione a un cambiamento che, pur se doloroso e difficile, è potenzialmente vivo in ognuno di noi.
Roberto Mosca
Chiudimi in una gabbia d’arte,
fammi creare senza sentire il peso delle ore;
non farmi pensare fammi scrivere
non farmi guardare fammelo dipingere,
discernimi dai miei mali
rendimi solo mezzo degli immortali,
l’arte e la morte come uniche compagne,
non più essere vivente né pensiero senziente
solo un creativo senza un corpo marcio,
che attutisca i colpi morali
rendimi lontano dai comuni mortali
non più corpo o anima
solo quella parte nascosta
che talvolta si manifesta,
un immortale canto delle pene umane
senza averle mai sofferte
vivere per scrivere
creato per creare
privo dalle vipere
lontano dal male
ma immerso nel suo dramma
trasporto dal corpo che è solo penna,
e se arriva un’emozione
diventa la sua trasposizione
puntellarmi la ragione
svanita per il sogno di un autore
un artista non umano
inconcreto ma perfetto
un artista disumano
e per questo imperfetto.
Leonardo Caenazzo
Liceo Artistico L. Fontana - Arese - Classe 2ª
Questa poesia, nella sua spontaneità quasi violenta, veicola con forza un’esigenza di separazione dalla materia e persino dalla ragione. La contraddizione fra la metafora della gabbia e l’anelito di libertà che pervade tutto il componimento è solo apparente, e si risolve in una sottile richiesta di abnegazione: la più autentica espressione di libertà risiede infatti nella scelta consapevole delle libertà a cui rinunciare. Qualcuno già disse che “la vita o si vive o si scrive”, e molto rimanda ad una generalizzazione di questo concetto. Tuttavia, l’urgenza di farsi puro, acritico e inerme strumento dell’arte traspare in una maniera così pervasiva e totalizzante da conferire al componimento un vigore non comune, che ne esalta le qualità poietiche e concettuali.
Mattia Pedota
Cammino, cammino,
volgendo lo sguardo
dove è possibile non ricordare.
Mi fermo,
ma persino un fiore sa parlare.
Parla di occhi,
di cui io rimango stregato,
di sguardi dolci e provocanti
che mi hanno incatenato.
Continuo, cammino
volgendo lo sguardo
dove è possibile non ricordare.
Mi fermo e persino un tramonto
mi sa raccontare.
Racconta di un sorriso
che guariva ogni male,
di quella spensieratezza
che mi faceva incantare.
Poi ti penso nel presente
nel mondo reale,
e pentito delle scelte prese
e delle occasioni perse,
continuo a camminare.
Thomas Macchione
IS Puecher Olivetti – Rho - Classe 1ª
Questa poesia esprime in modo chiaro, fresco ed efficace la fine di un amore e il rimpianto per non riuscire a dimenticare la persona amata. Sembra che tutto nel mondo che ci circonda parli di questo amore finito ma sempre presente : basta un tramonto per richiamare uno sguardo e un sorriso e per far sentire il peso della scelta di averlo lasciato. Forse, solo camminare può consentire di dimenticare le occasioni perdute e guardare avanti.
Ombretta Degli Incerti
Tu, lì,
steso ad aspettare che il vento ti portasse via.
Sognando una donna che ti guardava,
con i suoi riccioli d’oro sconvolti
da una leggera brezza di primavera
che infastidisce irrompendo dopo il lungo inverno.
Il mare emetteva il solito suono
che poi tanto solito non era.
Il sole stava completando il suo giro
e un’altra volta il tuo sguardo si incrociava
con i diamanti blu di quella donna;
aspettavi che fosse la sua bocca
ad appoggiarsi alla tua;
aspettavi che fossero le sue emozioni
ad incontrarsi con le tue.
Almeno lo sognavi,
e là, steso sulla riva del mare,
con gli occhi chiusi ad aspettare il buio,
la tua donna arrivò
e le sue calde e rosse labbra
con un movimento veloce,
come stessero rubando qualcosa,
incontrarono le tue.
Qualcosa lei rubò:
il tuo sogno;
perché da quel momento,
fu la realtà.
Nicolò Christian Terrana
Liceo Statale C. Rebora - Rho - Classe 1ª
Sogno, speranza, desiderio, semplicità: l’astratto che si trasforma in realtà grazie ad un bacio veloce, fuggitivo. La ragazza invocata che finalmente appare, mentre il buio copre la spiaggia per lasciare spazio soltanto al desiderio. Poi il bacio furtivo che interrompe l’incanto del pensiero e le sollecitazioni della fantasia. Un quadro dolce e gradevole, con qualche parola di troppo, ma, in sostanza, ben descritto e godibile
Adriano Molteni
Gli artisti, valli capire,
sempre ad un soffio dallo sprofondare
tra i loro animi fumanti
e le loro debolezze.
Poi li vedi la sera che paiono
persone nuove,
come appena nati dalle stelle
piangenti d’Agosto.
Un po’ di vino
e ti racconteranno tutto
ciò che vuoi sapere,
non si ricorderanno mai veramente chi sei, rimarrai un ricordo sbiadito
nelle loro menti prodigiose.
Forse un giorno ti ritroverai
impigliato nelle loro tele,
appeso tra le loro parole,
danzante sulle loro note.
Forse di te non si dimenticheranno mai,
ma tu non lo immagini,
tu non lo sai.
Di te hanno capito già tutto
e tu non gli hai mai detto niente.
Forse gli artisti sono presuntuosi,
sgarbati e solitari,
ma i loro cuori sono anch’essi
delle piccole opere d’arte.
Noi non li vediamo,
loro ci sono, non fanno rumore,
no quello mai, lungi da loro,
non vogliono fare baccano.
Loro fluttuano e scivolano al tuo fianco,
ascoltano, osservano, studiano
e poi colpiscono,
chi con una penna sul foglio
e chi con un pennello su di una tela.
Loro forse di te non si dimenticheranno.
Un leggero aleggiare del loro odore di tempera,
cera, pergamena e inchiostro,
poi più nulla.
Noi li guardiamo con disgusto
e disprezzo, perché sono strani,
ma ci chiediamo mai
cosa ne sarebbe del mondo senza di loro?
Un pugno di suolo
senza nemmeno un fiore,
acqua, terra e aria senza il fuoco,
violino senza corde,
cuore senza battiti,
albero senza radici.
Loro sono ciò che
di più primordiale esiste,
loro sono i figli dell’universo,
loro erano, sono e saranno.
Sempre.
Benedetta Visentin
IIS B. Russell - Garbagnate Mil. - Classe 3ª
Qui si attinge all’essenza stessa dell’arte, con un incedere languido e variopinto. I raffinati rimandi al fumo, al vino, all’inchiostro e alla notte impreziosiscono quella che è un’ode all’individualismo altruista, disinteressato e silenzioso, di chi non si cura delle ricombinazioni industriose della materia, ma rinnova i presupposti per ammirarla. In un mondo sfiancato dalla demolizione di ciò che va oltre la quantità, c’è ancora chi sa dare respiro all’urgenza della parte creatrice, quell’accezione di progresso sotterranea, nera e inalienabile che preferisce il lampo di una serata alla cumulazione di una vita. Ogni verso trasuda una comprensione profonda ed autentica delle dinamiche di creazione e dell’irrilevanza di ciò che è codificato per uno spirito che anela primordialmente a superare le strutture. Forma e contenuto si sposano senza alcun attrito nel grido silenzioso di quest’anima palpitante e sincera.
Mattia Pedota
Rosse schiume d’onda,
assordante il loro infrangersi,
dove il sangue con l’acqua si fonde
tra mille pensieri persi.
Lusinghe sommerse
come relitti sui fondali,
dove il sogno più vivo arse
si originarono le tempeste più infernali.
Speranze zaffiro
ancorate all’abisso nero,
tra un pianto e un sospiro,
mirando il sabbioso cimitero.
Bambino non trattenere il respiro,
tu sei il capitano di questo veliero.
Valentina Tota
ITIS S. Cannizzaro – Rho - Classe 4ª
È questo un componimento complesso, strutturato, che merita più di una lettura per essere pienamente apprezzato. Già dal titolo, apparentemente semplice, nasce l’alchimia con il testo della composizione; in un mare turbolento che è metafora del viaggio di ognuno di noi: la vita e i suoi inevitabili tumulti. E il tumulto interiore sembra pervadere tutta la poesia, con le vitali speranze che paiono irrimediabilmente “ancorate all’abisso nero / tra un pianto e un sospiro” nell’atmosfera tipica del più ispirato Baudelaire. Ma la giovane età non può ignorare la speranza, attraverso una chiusa che offre un preciso spunto alla volontà umana e alla non-resa: “Bambino non trattenere il respiro / tu sei il capitano di questo veliero.” Ben fatto, ben scritto e ben detto.
Roberto Mosca
Piccole schegge,
come bollente pioggia,
si posano,
su volto candido,
di un’anima spenta.
Non smettono di bruciarla,
di pungerla.
Fa male,
vederlo osservare irridente,
un tramonto senza tempo.
E ancora vorrei,
dolci carezze,
carezze che sfiorino il suo cuor di ghiaccio,
in speranza,
di ammirar di nuovo,
quel caldo sorriso di cui mi sono innamorata.
Denise Sacco
IS Puecher Olivetti – Rho - Classe 5ª
Quando in un attimo il sole e la sua luce che tutto illumina scompare, “non è un tramonto senza tempo”, ma sappiamo che oltre le nubi il sole vive… è solo questione di tempo e poi la carezza del vento ci farà riapparire la sua bellezza che tutto illumina. Così è anche il nostro vivere quotidiano che può spegnere il nostro “caldo sorriso” ma “le dolci carezze” riaccenderanno “l’anima spenta”. E’ una poesia che valorizza la forza dell’amore che nei momenti bui riporta luce e gioia di vivere.
Piero Airaghi
Ho avuto una soffice sensazione intensa
d’aver sfiorato col dito una nuvola
una favola, parla di una vita nuova
e di una nave immensa
ho assaporato l’ebrezza
del vento marino, un soffio vitale
l’oceano con i suoi pesci
e i suoi riflessi d’argento.
Sulla vetta più’ alta
contemplavo l’orizzonte
nitido, puro
cavalcato dalle onde.
I miei capelli sapevano di sale
indomabili, nell’aria salmastra
sette giorni, nient’altro
poi, come avrei fatto?
Il suo focoso calore
arrivava sino alle mie ossa
fragili, riprendevano vigore.
Mentre, i raggi del sole
come cocenti braccia
sapevano guarire ogni dolore.
In quel mezzogiorno d’estate
ai miei occhi, apparve il paradiso
una goccia nell’oceano
desiderai diventare
che, viaggia in eterno, nell’infinito mare
senza che nulla
la potesse fermare.
Giulia Guerriero
IIS B. Russell - Garbagnate Mil. - Classe 3ª
La dolcezza dell’innamoramento è irrazionale e basta da sola a spingere l’amato a voli pindarici, come in questa poesia, dove questi voli sono ben descritti, pure se la punteggiatura latita. Pertanto vediamo, nell’ebbrezza di favolosi paesaggi ed orizzonti, il bene confondersi col sole. Ed è così tanta la gioia, provata dal poeta in quel preciso momento, che la vorrebbe godere in eterno. Pensa quindi di trasformarsi in una semplice goccia d’acqua per lasciarsi cullare “dall’infinito mare”, suo complice e protettore.
Adriano Molteni
Di colpo le luci si accesero illuminando l’inusuale sala. Un rumore metallico si diffuse in quell’ambiente asettico e macchinari di ogni genere entrarono in funzione. Dai megafoni alle pareti una voce maschile avvisò che
la preparazione era iniziata. Una presenza femminile era percettibile nell’aria rarefatta, anche se non era ancora visibile, come l’odore della pioggia, che si avverte quando stanno per cadere le prime gocce.
L’uomo che qualche istante prima aveva parlato diede nuovamente vita alla sua voce:
- Allora, ragazza, quale vuoi che sia il tuo nome?-
Queste semplici parole furono pronunciate in modo forte e sicuro, come se la stessa frase fosse stata ripetuta centinaia di volte.
- Penso che Teresa sia un bel nome - La sua voce sembrava quella di una bambina sperduta in una città sconosciuta.
- Quale vorresti che fosse la tua altezza corporea?-
- Penso che vorrei essere di media statura, né troppo alta, né troppo bassa… Quindi posso scegliere come apparire?- chiese la ragazza. Erano tanti gli interrogativi che la tormentavano.
- Teresa, forse non hai capito, ma dalle risposte che mi fornirai, dipenderà la tua intera vita. Una volta uscita da questa stanza non potrai più tornare indietro -
Anche se la ragazza non aveva ancora un volto con cui manifestare le emozioni, la sorpresa e il timore che la assalirono erano palpabili, perfino l’uomo al di là del megafono ne ebbe una chiara percezione.
- Immagino che tu voglia essere anche un peso medio, più sul magro, mi sbaglio?-
- Non so, penso di sì -
Prima ancora che potesse terminare la frase, un corpo giovane e snello venne trasportato dalle macchine su un piedistallo posto al centro della stanza, in modo che fosse ben visibile.
Teresa se ne sentì subito attratta, quasi fosse una calamita. Cercò di resistere, ma la forza con cui la attirava a sé era troppo forte e la sua anima venne trascinata con forza verso le sue nuove fattezze. Dopo un attimo di sconcerto si abituò a quella nuova forma, trovando quasi gusto alle domande che le venivano poste con velocità sempre maggiore: per lei ormai era come un gioco da vincere ad ogni costo.
- Come vuoi i capelli? E gli occhi, le sopracciglia, il naso?-
Ormai aveva perso il conto di tutte le risposte che aveva dovuto dare, ma quando il risultato finale le fu mostrato, non poté sentirsi più fiera delle sue scelte. Una ragazza bellissima le si presentava davanti: capelli di seta, lunghi e dorati le ricadevano sulle spalle, più luminosi del sole; occhi blu come l’oceano erano incastonati come gemme in un viso delicato come il più raro dei gioielli.
Lo specchio venne portato via da un braccio meccanico e immediatamente Teresa si sentì pronta, non aveva alcun ripensamento.
- Ora vai, la tua preparazione è finita! -
Una saracinesca collocata lungo una delle pareti della sala si alzò di scatto. Teresa si stupì di non averla notata prima, ma non se ne crucciò: ora il mondo era pronto ad accoglierla e lei non si sarebbe certo fatta aspettare.
Scese dal piedistallo barcollando leggermente, doveva ancora abituarsi a camminare. La luce finalmente, quella vera, non quella fredda e artefatta dei neon, diede il benvenuto alla ragazza. Teresa certo non se lo sarebbe mai aspettato, ma la prima sensazione che provò all’aria aperta fu di pura delusione: ne venne inondata, la lasciò completamente senza fiato, come un mare in tempesta lascia affogare chiunque annaspi nelle sue acque vorticose. La piazza enorme in cui si ritrovò era gremita di persone che camminavano in ogni direzione, noncuranti le une delle altre, men che meno della nuova arrivata. Ciò che colpì di più la ragazza fu il fatto che tutti, nessuno escluso, erano uguali tra loro, i maschi agli altri maschi, le femmine alle altre femmine. Per Teresa era come guardarsi allo specchio, ma invece di vedere un solo riflesso, ne vedeva migliaia. Provò ripetutamente a sfregarsi gli occhi, cercando ogni volta di convincersi che quello fosse solo un brutto sogno, ma appena riapriva gli occhi lo spettacolo che le si presentava era sempre lo stesso.
- Signorina, si sente bene?- Uno dei “cloni” maschili le aveva rivolto la parola e lei lo fissò ancora sconcertata. Non le sfuggì che mentre la voce del ragazzo esprimeva preoccupazione, il suo viso era rimasto imperturbabile.
- Perché siamo tutti identici? - chiese con una punta di disperazione la ragazza.
- Ma che domanda, è sempre stato così - disse, ma appena si accorse da dove era appena uscita Teresa, si affrettò ad aggiungere:
- Tranquilla, presto ti ci abituerai, le nostre scelte, congiuntamente a quelle fantastiche macchine, ci hanno reso inequivocabilmente fa-vo-lo-si! - affermò con orgoglio.
- Ma com’è possibile che abbiamo espresso tutti le stesse preferenze? -
- Tu perché hai voluto essere così? Hai compiuto le scelte che ti hanno resa più bella! Non hai forse aspirato al meglio, come tutti noi? -
- Ma allora io voglio cambiare! Non posso accettare questa omologazione generale … -
Il ragazzo soffocò una risata, evidentemente divertito.
- Non te lo hanno detto? Ormai non puoi tornare indietro, rimarrai così per sempre -
Finita la frase, decise improvvisamente di andarsene, come se niente fosse accaduto. Teresa cercò di richiamarlo, ma ormai si era confuso nella folla, ritrovarlo sarebbe stato impossibile. Sospirando, si incamminò non sapendo bene che strada percorrere, ma era decisa a uscire da quel pasticcio. Passarono ore intere. Dopo aver girato a vuoto ed essersi inutilmente rivolta a centinaia di persone, giunse purtroppo alla conclusione che avevano tutti ragione: non si poteva cambiare. Teresa era rassegnata. D’un tratto, però, qualcosa attirò la sua attenzione: una misteriosa villetta. Nella sconfinata distesa di caseggiati enormi e grattacieli slanciati verso il cielo, quella piccola casa era l’unica eccezione. Recuperata improvvisamente la speranza, Teresa si affrettò in quella direzione, urtando nel tragitto tutti coloro che le si paravano davanti.
Senza un attimo di esitazione suonò il campanello. Davanti a lei comparve colui che non si sarebbe mai aspettata di trovare, ma allo stesso tempo proprio la persona che più stava cercando. Un ragazzo di qualche anno più vecchio di lei, completamente diverso dagli altri che aveva incontrato fino a quel momento, aveva appena aperto la porta. La fece entrare, ma si capiva che era diffidente: avrebbe con ogni probabilità preferito rispedirla fuori. Evidentemente non erano molte le persone che venivano a disturbarlo a casa sua.
- Chi sei? Cosa ci fai qui? - chiese infastidito.
La ragazza non si fece intimorire e rispose quasi senza pensarci.
- Dal tuo aspetto deduco che tu sia l’unico in questo mondo ad aver trovato un modo per cambiare, voglio sapere come hai fatto! - l’intento di Teresa non era quello di essere arrogante, ma l’eccitazione l’aveva portata a formulare forse nel modo sbagliato la fatidica domanda; per fortuna il giovane l’aveva capito e la sua espressione dura si era tramutata prima in sorpresa e infine in empatia.
- Mi dispiace, ma non posso rispondere alla tua domanda, per il semplice fatto che io sono così da quando sono stato creato -
Sentì che tutte le sue aspettative si erano irrimediabilmente frantumate. Quando però ebbe metabolizzato meglio quelle parole, si rese conto che una nuova domanda era appena affiorata nella sua mente.
- Vuoi dire che tu volevi essere così? Non aspiravi a una bellezza assoluta?-
Il giovane sorrise.
- No, l’avvenenza fisica non mi è mai interessata. Penso che vivere la propria vita senza preoccuparsi troppo dell’aspetto esteriore sia la cosa più importante. Ciò che ricerco di più invece è la felicità, che però qui non riesco a trovare: in questo mondo se sei anche solo parzialmente diverso dagli altri vieni escluso a priori. Se non sei perfetto non sei degno di competere, non sei all’altezza degli altri. Che stupidaggini! Il vero valore di un individuo è rivelato dalle sue azioni, dalle emozioni che prova, non certo da un bel taglio di capelli! -
Teresa fu molto colpita da quelle parole, dalla loro saggezza, dalla loro concretezza e anche ovvietà. Questi infatti sono concetti che tutti condividono, ma su cui nessuno ragiona veramente e che in pochi prendono in considerazione. Se Teresa ci avesse riflettuto prima, le sue scelte sarebbero state completamente diverse.
- Ti sei mai pentito della tua decisione?- chiese, ma in realtà conosceva già la risposta.
- Mai. Sono molto soddisfatto di me stesso e se gli altri non mi accettano, non è mio il problema -
Di fianco a Teresa uno specchio con una cornice dorata era appeso al muro e per la seconda volta in quella intensa giornata le capitò di guardarsi, ma
questa volta ciò che vide non la soddisfò per niente, ciò che le si mostrava davanti era ciò che lei non voleva essere più.
Improvvisamente però tutto intorno a lei si fece sfocato, mentre un fastidioso ronzio la stordiva.
Si alzò di scatto dal letto, la sveglia stava suonando da qualche istante e aspettava solo di venire spenta, cosa che Teresa fece con sollecitudine, dato che il suo rumore le stava spaccando i timpani. Mentre in bagno si preparava per andare a scuola, i suoi occhi si posarono inevitabilmente sul suo peggior nemico. Ciò che vide, però, le piacque molto: lo specchio restituiva come sempre la sua immagine, ma per la prima volta lei si contemplava con occhi diversi; quei capelli marroni un po’ crespi e disordinati, gli occhi di un colore non ben definito, quel naso leggermente più grande della norma e tutti gli altri piccoli difetti, ormai non erano più tali, erano diventate solo caratteristiche che la distinguevano dalla massa, particolari che la rendevano unica e inconfondibile. Quella era la vera lei, colei che aveva sempre voluto essere, e adesso finalmente lo sapeva.
Lara Bertolotti
IIS B. Russell - Garbagnate Mil. - Classe 4ª
Un componimento di genere fantastico, in bilico fra Asimov e Allan Poe, ma straordinariamente attuale ed efficace. Siamo in un futuro non impossibile, nel quale la vita fisica delle persone viene costruita a tavolino, configurando l’aspetto umano come oggi si potrebbe fare scegliendo l’allestimento di un’automobile o di un qualsiasi oggetto acquistato sul Web. La sensibilità dell’autore – prima ancora della sapienza narrativa – ha condotto a una vera e propria introspezione, trasferita alla figura della protagonista. Che si trova a dover scegliere il proprio aspetto corporeo soltanto in modo fittizio: in quella che è di fatto un’omologazione, una “non-scelta”. L’unica vera decisione della ragazza sarà per paradosso lo stabilire il proprio nome che, a pensarci bene, è la sola cosa che noi esseri umani non possiamo scegliere. Il racconto fluisce piacevolmente, è ben scritto ed originale. Ci aiuta a penetrare con efficacia nel pensiero del personaggio principale e nel mondo suo circostante. Non manca la sorpresa finale, a ricondurci a ciò che spesso il tempo presente cerca di oscurare: il valore del nostro io più autentico, che non deve temere l’unicità.
Roberto Mosca
Camminava scalza. In realtà pensava che la fanciulla non avesse mai indossato calzari o che fosse a conoscenza della loro esistenza. Se ne era accorto subito, non appena si era risvegliato. La vista stava progressivamente lasciandolo al buio, ma non gli serviva vedere per accorgersi delle piccole cose.
La riconosceva dal passo. Era più leggero degli altri, il palmo del piede poggiava direttamente sul terreno, sporcandosi di scura terra. Non ne sembrava infastidita e di certo non glielo avrebbe fatto notare lui, ormai più vicino alla morte che alla vita.
Non ricordava molto, ma la certezza di essere stato raccolto lo faceva stare meglio. Sarebbe comunque morto, quasi cieco e lontano da casa, ma almeno non era stato abbandonato come un coccio rotto. Sentiva ancora le due braccia forti e sudate che lo avevano sollevato e adagiato su spalle altrettanto forti. Poi era stata sdraiato su un giaciglio, in quella che aveva tutto l’odore di una stalla, ricoperto di sangue, che sentiva colare ovunque e percorrere il corpo martoriato con lo stesso andamento di un ruscello di campagna. Perfino gli occhi, resi opachi dall’esplosione, sanguinavano.
Avevano provato a curarlo, a fasciare almeno le ferite superficiali e alleviargli il dolore, ma ogni tocco, seppur leggerissimo, provocava gemiti e urla imploranti.
Alla fine avevano deciso di lasciarlo stare; se non potevano aiutarlo, lo avrebbero lasciato morire in pace.
Solitamente la ragazza scalza gli portava da bere: avvicinava con quanta più delicatezza aveva un coccio di ceramica a forma di conca e con i bordi limati e cercava di rinfrescargli le membra stremate. E, sempre grazie alla sua delicatezza, poteva avere il privilegio di tamponargli le ferite.
Dopo lo spettacolare sanguinamento dagli occhi, qualcuno aveva deciso di bendarglieli, anche perché, per il diretto interessato, stavano diventando inutili.
Dell’esplosione ricordava tutto, invece. Le urla dei compagni, le armi che crepitavano intorno a loro come unica musica esistente, il fischio che precedeva la fine di tutto. Si erano sollevate ingenti parti di terreno, tanto che aveva temuto di venirne inghiottito.
Era calato il silenzio, non un crepitio, non un gemito. Ma il silenzio in guerra non è duraturo. Urla di dolore e di paura si erano levate tra i monconi sopravvissuti. E mentre i suoni intorno a lui si facevano ovattati e gli occhi iniziavano a bruciare, aveva cercato di alzarsi, barcollante e sorretto a mala pena dalle gambe, aveva cercato di aiutare. Ma come uno stupido era inciampato nei suoi stessi piedi, era caduto ed era rotolato verso un burrone, fino a che un tronco morto non aveva fermato la sua disastrosa caduta.
Il tempo che aveva trascorso da quel momento fino al suo ritrovamento lo considerava senza confine. Era viscido per il sangue, avrebbe voluto spogliarsi e farsi mangiare dagli avvoltoi, piuttosto che rimanere in quelle condizioni, troppo vigile per un moribondo.
Sentì i soliti leggeri passi avvicinarsi al suo giaciglio e chinarsi alla sua altezza. La scalza non parlava, ma in qualche modo la sua presenza lo faceva sentire in buona compagnia.
Lo avevano lasciato con una benda intorno agli occhi e il sorriso debole, i lineamenti provati, le guance scavate e ancora macchiate di terra nera.
La prima volta che la scalza aveva sciolto la benda intorno ai suoi occhi aveva indugiato, accarezzando gli zigomi con quanta più delicatezza possibile, aveva seguito il contorno delle sue labbra rovinate e e del naso. Poi era risalita fino alla benda, umidiccia.
Da come si era successivamente bloccata, non aveva faticato a comprenderne il motivo; poteva immaginare cosa avesse visto la fanciulla, l’aveva visto lui stesso negli occhi dei suoi compagni condannati come lui alla stessa pena, e poteva immaginare senza fatica i pensieri che le attraversavano la mente in quel momento.
Si riusciva ancora a scorgere del sangue scarlatto solcare la sclera lattea. Muoveva le pupille incessantemente, in cerca di luce. Il giovane sentì qualcosa bagnarli il volto, a gocce: Il volto della ragazza era rigato di lacrime, ma questo lui non poteva saperlo, poteva solo intuirlo. L’ultima volta che qualcuno si era specchiato in quegli occhi aveva trovato l’abituale e meraviglioso blu, un colore tanto forte e vivo che rendeva impossibile la tristezza e il dolore sul volto del ragazzo.
Ma la guerra gli aveva preso quel blu, l’aveva posseduto, troppo avara di dolore per lasciarlo intatto e ora, non ne rimaneva nemmeno il ricordo. Annegava nel dolore, lei lo poteva sentire. Avrebbe voluto fare di più per alleviare le sue sofferenze, ma stargli accanto in quel momento era l’unica cosa che potesse veramente aiutarlo.
Quando lei gli si avvicinava, le sembrava di scorrere sulle labbra rovinate e sanguinanti del ragazzo un sorriso debole, di quelli che probabilmente erano stati rari negli ultimi tempi su quel volto distrutto. Iniziava a credere che fosse lei la causa di quei sorrisi, e, al solo pensiero, le sue pallide guance si coloravano rosee e le sentiva pizzicare non appena si chinava sul ragazzo per tamponare le ferite. Si era accorta anche di come quello stesse in ascolto di ogni suoi respiro, di ogni suo movimento ed era sicura che stesse in ascolto anche quando arrivava o se ne andava. I piedi scalzi a contatto col terreno era un segnale di salvezza per il giovane e lei non aveva faticato a capirlo; così non si recava mai da lui con le scarpe, perché non interrompessero quella magia di frequenze che il neo-cieco iniziava a captare. Avrebbe voluto alleviare le sue sofferenze e far sparire quelle smorfie di grida trattenute che solcavano il volto del giovane, ma non ne era in grado.
La notte era il momento peggiore per lui, il sonno non riusciva a farsi strada tra gli incubi e il ragazzo si ritrovava ad urlare disperato, mentre il mondo intorno a lui si distruggeva. Erano quelli i momenti in cui la ragazza allora giungeva da lui. Non appena si chinava sul corpo martoriato e gli stringeva la mano, quello si rilassava, come quando un bambino di pochi mesi piange disperato perché non riesce a prendere sonno a meno che non presso il seno materno, cullato e accudito, così lui al tocco della fanciulla. E sospirava, non appena sentiva quella stretta delicata e rassicurante, un ancora tra la realtà e il suo dolore. E quel sorriso tanto amato si faceva largo tra le sue labbra e con la testa cercava di girarsi verso la ragazza. Lei non poteva saperlo, ma gli occhi di lui bramavano la sua visione.
Preso dalla disperazione di non poterla vedere, una volta, aveva allungato una mano, con estrema fatica, e aveva sentito le calde e morbide guance della ragazza. Quella gli aveva stretto delicatamente la mano e aveva lasciato che proseguisse, sfiorandole i tratti del volto, percorrendo il profilo del naso e delle labbra, le orecchie e i denti e gli occhi, la parte che più desiderava toccare. Al tatto del giovane ella si presentava come la figura più perfetta che potesse mai essere plasmata da mano umana. La ammirava solo sfiorandola, i polpastrelli in quel momenti valevano più di mille occhi. E poi, spinto da una carica che non credeva ancora di possedere, lentamente si era issato sui gomiti e aveva sollevato la schiena, i muscoli dell’addome stretti.
Con la mano che aveva già percorso il volto della fanciulla, le aveva spinto la testa verso di sé, fino a sentire il respiro di lei intrecciarsi nel suo. Le punte dei nasi si toccavano, i battiti erano come sincronizzati. La ragazza aveva poi allungato una mano verso la benda che gli copriva gli occhi e l’aveva sciolta, liberando quegli occhi opachi che si erano nutriti di sofferenza. E quegli occhi la guardavano come se potessero vederla, illuminati di una gioia che non aveva mai colto. Inclinò la testa, poggiando quelle labbra che non avevano baciato nient’altro se non la guancia della madre sul ragazzo. Chiusero entrambi gli occhi, mentre assaporavano ognuno il sapore dell’altro. Quelle di lui erano fredde; un brivido percorse la schiena della ragazza, che senza rendersene conto era arrivata a stringerlo a sé. Quando si erano separati, il sorriso di lui era ben più visibile, niente a che vedere con il debole sorriso a cui era abituata. Ma poi la realtà gli aveva investiti e il ragazzo si era esibito in un mezzo gemito. Lei lo aveva aiutato a risdraiarsi e, nell’operazione, quello non le aveva lasciato la = mano nemmeno per un istante. Le labbra che erano appena state in paradiso tornarono a sanguinare
Si era sdraiata al suo fianco, stringendogli la mano.
-Non voglio morire. – aveva sussurrato lui con voce rauca, le lacrime che gli bagnavano i ciechi occhi. La ragazza aveva appoggiato la testa nell’incavo del suo collo e con le dita raccoglieva le lacrime del ragazzo. In quel momento, al cospetto della luna e di tutti gli astri notturni, mentre a poca distanza da loro altre persone incontravano la morte violenta che aveva marchiato gli occhi del ragazzo, aveva fatto una muta promessa: avrebbero combattuto la morte insieme e lui non avrebbe dovuto temere niente, finché lei sarebbe stata al suo fianco.
Matilde Piano
Liceo Statale C. Rebora - Rho - Classe 3ª
La vita si nutre di contrasti. L’abisso non fa soltanto da contraltare alla vetta, ma la rende inarrivabile. Questo racconto delinea con rara delicatezza la fragilità di una perla dove si specchiano e sposano realtà complementari, in una contingenza atroce che ne risalta il fulgore. L’amore carnale si fonde con quello materno, l’assaporarsi col prendersi cura dell’altro, la sofferenza con una tensione a metà tra l’estasi e la pace, all’ombra della morte e alla luce di una speranza necessariamente ultima ed unica. Mi auguro solo che la sensibilità dell’autrice, così profonda e leggiadra da assemblare il mosaico perfetto di un miracolo esistenziale, possa esprimersi così intensa anche a fronte di quella banalità quotidiana che fatica a chiamarla.
Mattia Pedota
19 Aprile 2320
Sono passati oramai 270 anni da quando è stata fondata l’Associazione Scientifica Dello Sviluppo Della Longevità, al fine di elaborare un composto chimico il cui funzionamento potesse garantire la rigenerazione delle cellule che compongono i vari tessuti, o quanto meno di una percentuale di esse tale da mantenere l’equilibrio omeostatico.
Ci sono voluti quasi 150 anni e circa 87 miliardi di dollari, se non di più, spesi nelle ricerche, e finalmente il 12 febbraio 2194 l’ASDSDL ha dichiarato ufficialmente la riuscita, tanto agognata quanto complessa, del progetto che ha reso possibile l’immortalità. Il composto in questione, il quale viene somministrato sotto forma di vaccino ogni 10 anni, a partire dai 18 per le donne e i 21 per gli uomini, è stato approvato, dopo quasi 20 anni di esperimenti effettuati su animali e accesi dibattiti nel campo della bioetica, della politica, della filosofia e della religione, nel 2210 negli Stati Uniti d’America, poi nell’Europa Orientale, in Canada, in Austria, e infine in tutti gli altri stati
In principio il vaccino veniva visto come l’elemento che avrebbe portato l’essere umano ad un’ulteriore evoluzione, da mortale ad immortale, eppure la società si dovette ricredere presto: tanto per cominciare, anche negli stati in cui è presente la sanità pubblica, è sempre stato costoso, e nonostante il prezzo variasse in base al reddito, non è mai sceso sotto la soglia dei 25 mila dollari per dose. Ciò ha provocato un’enorme disparità tra soggetti considerati delle divinità e soggetti visti come dei comuni mortali, e pertanto inferiori. Ciò nonostante, il vaccino può essere pagato a rate, ragion per cui attualmente il 60% della popolazione mondiale, senza considerare chi non rientra nell’età clinica adatta, è in grado, chi con più difficoltà, chi con meno, di usufruirne. Il problema principale però è stato, ed è tuttora, la negligenza e l’apatia che l’immortalità ha generato. Nell’ultimo secolo, infatti, la progressione in tutti gli ambiti scientifici, siano essi naturali o umanistici, è drasticamente rallentata; i libri pubblicati, esattamente come ogni altra forma di opera artistica, sono sempre meno, e la loro qualità, se paragonata a quella risalente a prima dell’introduzione del vaccino, è enormemente peggiorata; sempre più ragazzi abbandonano la scuola e smettono di avere passioni e hobby; il numero dei nati sta diminuendo, come quello di chi si sposa, e il numero di suicidi, per lo più da parte di ultracentenari stanchi di portare avanti un’esistenza che non ha più nulla da offrire, è aumentato del 20%
Se prima la morte rappresentava per l’uomo la consapevolezza di essere assoggettato alla limitatezza del tempo, spingendolo ad utilizzarla come un espediente che gli consentisse di vivere, oltre che limitarsi a sopravvivere, ora, con la sua assenza, egli può avere tutto il tempo che desidera a disposizione. Ciò ha soffocato la passione che consentiva di innamorarsi, di creare, di lottare, di rivoluzionare, di crescere e di cambiare, in quanto non si avverte più il bisogno di porsi degli obiettivi, poiché tutto ciò che richiede impegno e sacrificio può essere rinviato al domani. In pratica si è persa la possibilità di un’ulteriore evoluzione, dal momento che l’immortalità era il processo ultimo al quale un essere umano, il quale è sempre stato consapevole di quella che sarebbe stata la sua fine imminente, poteva aspirare.
Ciò che avrebbe dovuto essere l’inizio di un’epoca prosperosa e infinita nella sua bellezza e produttività, si è rivelato un tunnel di inerzia e torpore illimitato. E oggi, gli stessi che hanno deciso liberamente di entrare in questo tunnel sono coloro che, man mano, decidono di concludere il proprio viaggio senza meta sempre di loro spontanea volontà.
L’unica speranza alla quale l’umanità può ancora aggrapparsi è che la minoranza di mortali rimasti possa cambiare la sorte dell’umanità, esternando un lume d’emozione e di fervore, che col tempo si è dissolto nei cuori di chi ha vigliaccamente scelto l’eternità della mediocrità alla limitatezza della bellezza
Ronny Kaloshi
IS Puecher Olivetti - Rho - Classe 5ª
Il racconto distopico ambientato nel 2320 ci colpisce anche per la similitudine in questo periodo di pandemia Covid-19 perché ci parla di un vaccino che ha comportato un grande investimento economico e temporale, sebbene per un fine diverso, ma non poi così tanto … C’è un parallelismo anche riguardo all’acceso dibattito tra gli Stati per la ricerca del vaccino, all’enorme disparità tra i soggetti, anche se il vaccino del racconto ha delle conseguenze che conducono le persone a un tunnel esattamente opposto a quello che si prospettava e che la società si sarebbe auspicata. Quando l’utopia umana, il paradosso si realizza, si scopre che nulla ha a che fare con la vita, ma che è proprio il tempo limitato che ci spinge a impegnarci, a porci degli obiettivi, a emozionarci, a fare delle grandi scelte. Come diceva Jorge Luis Borges: «Essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte; la cosa divina, terribile, incomprensibile, è sapersi immortali»
Maria Grazia Cislaghi
“La conosco?” domandò tutto d’un fiato.
Schiuse le labbra.
“Forse.” rispose secco.
Ritrasse la mano che fino a quel momento teneva stretto il braccio della figura maschile che si prostrava davanti ai suoi occhi colmi di pura confusione.
Giurò di non aver mai visto quel ragazzo.
Ne era sicura, più che sicura.
Eppure aveva come la sensazione che egli fosse più di uno semplice sconosciuto.
“Non capisco perché lei continui a guardarmi.”
“Non posso risponderle. Neanche io lo so.” asserì la ragazza con un filo di voce mentre abbassava lentamente lo sguardo sulle sue scarpe da tennis rovinate.
Il ragazzo si sedette a fianco a lei, si tolse i guanti e li porse alla ragazza dicendole di indossarli per non sentire il freddo.
“Sa…mi sembra di conoscerla.” sussurrò poi accennando un sorriso.
“Anche io. Non ricordo però di averla incontrata.” ammise mentre si spostò delicatamente i capelli color ciliegia dietro le proprie orecchie.
“Dentro di me, vorrei alzarmi e andarmene. C’è qualcosa che mi ferma. Come se tra me e te ci fosse una corda, un campo magnetico che mi impedisce di farlo.” cercò di spiegare il ragazzo, mentre si scompigliava un po’ i capelli, umidi di pioggia.
La ragazza guidata da un volere ignoto, gli accarezzò la guancia. Sentì dentro di sé una sensazione già conosciuta. Una scossa invase il suo corpo e il cuore iniziò a batterle come non mai.
Fu sorpresa da quella reazione inaspettata, indietreggio nuovamente…ma mai troppo lontana dal misterioso ragazzo dal cappotto nero.
“Rifallo. Accarezzami di nuovo.” la invitò lui ammaliato dal momento. La ragazza annuì e provò ad accarezzarlo nuovamente.
Quelle carezze che secondo dopo secondo si trasformarono in tristi abbracci.
Sensazioni di dolore immenso si evolvevano a loro volta in amari baci. Tutto ciò era un inspiegabile bisogno di toccarsi e di sentire il contatto di un corpo apparentemente sconosciuto che al solo sfiorarsi portava con sé pure emozioni. Lasciarono che i loro gesti chiarissero la complicanza che c’era invece nel gestir parole.
Improvvisamente la ragazza sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime.
“È privo di senso…” pensò, turbata.
Perché piangeva? Chi era l’uomo davanti a lei?
Le loro labbra si avvicinarono con una lentezza che sembrò infinita mentre quelle silenziose e anomali lacrime continuarono a scenderle sul viso. “Non riesce ad esistere un perché…fin da quando ho messo gli occhi sul tuo volto. Ciò che sta succedendo è fuori dal mio controllo. Ho i brividi ovunque.” Le rispose, prendendole delicatamente con le dita il mento scrutando con attenzione quegli occhi familiari.
“È come se questa… non fosse la prima volta.”
E fu il tocco delle loro labbra a far riaffiorare quel sigillo che la morte aveva racchiuso nei loro cuori.
Due anime destinate a rincontrarsi, dopo essere state separate.
Sul volto della ragazza apparve un dolcissimo sorriso “Ti ho ritrovato…”
Il ragazzo la tirò verso di sé, stringendola forte fra le sue braccia.
La surrealità del momento gli divorò la mente completamente.
Ora avrebbe finalmente scritto il continuo di un libro.
Quel libro che durante una tragica e amara lettura decise di bruciarsi.
Denise Sacco
IS Puecher Olivetti – Rho - Classe 5ª
Questo breve racconto cresce di intensità molto rapidamente, spiazzando il lettore. Il sottotesto, esplicitato dal titolo, è forse l’unica giustificazione plausibile per ciò che accade. O forse no. Forse anche tra sconosciuti si può tremare in un bacio e assaporare la lentezza infinita che separa un contatto da un altro. Forse i frammenti appartengono ad una vita che si è spenta non con un cuore che ha smesso di battere, ma con due occhi che hanno smesso di brillare gli uni negli altri. Forse nella vita ci si perde e ritrova continuamente, non solo in uno sconosciuto, ma anche in quel modo fin troppo conosciuto in cui la pioggia batte sul vetro. Forse, se conoscersi significa dare un senso al presente, è meglio non farlo mai.
Mattia Pedota