Il freddo glaciale d’inverno,
le onde sbattute dal mare
e tu, imprigionato all’inferno,
quasi non riesci ad amare.
Tu, che resisti alla pena,
cella fredda in quel buio confino,
tu, che mai pieghi la schiena,
tu, capitano del tuo destino.
Al popolo le nere catene
spezzi e finalmente è rinata
la vera libertà che contiene
uguaglianza non discriminata,
esempio che io seguo fiero,
tu, primo presidente nero.
COLI ROAN
Scuola Media Silvio Pellico
Classe 3a
Commento:
«Nelson Mandela (18 luglio 1918-5 dicembre 2013) è stata una delle personalità più caratteristiche e significative del secolo scorso. Non esiste persona che non abbia anche solo sentito nominare Mandela e l’anno scorso la storia di questo spirito luminoso si è conclusa, lasciando ad altri il compito di portare avanti ciò che lui ha iniziato. Questa potente danza di versi ci precipita nella cella di Mandela: noi siamo lì, quasi respiriamo le stesse sensazioni, la stessa sofferenza. Ma come un vortice invincibile, dal gelo e dal buio, veniamo liberati per assaporare la libertà più vera, la luce più splendida: “e finalmente è rinata, la vera libertà che contiene, uguaglianza non discriminata”. Poesia forte e ben strutturata. Il poeta mantiene l’attenzione del lettore in ogni verso e la briglia della rima non fa che dare musicalità ad un clima di sensazioni che culminano nel “sospiro di sollievo” finale. (Sofia Verco)».
Sorrido.
Le lacrime scendono.
Ripenso a tutte le volte
In cui ho perso.
In cui i mostri mi hanno sconfitta.
Sorrido.
Tutti quei sorrisi falsi,
tutti quei “sto bene”
detti per non far preoccupare gli altri.
Nessuno aveva capito che stavo male.
Non riesco a respirare.
Il pianto sta diventando più intenso.
La vita si offusca.
Sorrido.
C’è una guerra dentro di me.
So che non terminerà mai,
se continuo a vivere.
Meglio farla cessare.
Tremo, continuo a piangere:
dopo tutto non voglio morire
ma è l’unica soluzione che conosco.
Un respiro profondo.
Poi, un attimo dopo,
la lama mi trafigge il petto.
Sangue.
Penso alla felicità
quella che non sono riuscita a
raggiungere
ma che desideravo ardentemente.
Scendono altre lacrime.
Comincio a perdere conoscenza.
Sono a terra.
La fine è arrivata.
Finalmente.
Ora sono al sicuro.
Ora i mostri non possono più catturarmi.
Sorrido.
COLONNA CHIARASTELLA
Scuola Media A. Frank
Classe 3a
Commento:
«Poesia contraddittoria, a tratti, tragica, che si struttura come intima introspezione. Il titolo inganna, poiché quel sorriso maschera illusioni, aspettative, delusioni, che provocano impotenza e disperazione. L’autrice, scoprendo come la vita sia un cammino difficile irto di difficoltà, afferma enfaticamente “C’è una guerra dentro di me … che come lama mi trafigge il petto’’. Tuttavia, è risaputo che la vita, nel bene e nel male, è fatta di esperienze alle quali, comunque, siamo chiamati a prenderne coscienza per poter sconfiggere i “mostri”, i cattivi pensieri, le paure e quel cupo pessimismo esistenziale. Il finale è contrastato e lascia ancora interrogativi: “Ora i mostri non possono più catturarmi. Sorrido”. (Ugo Salvatore Esposito)».
Indossiamo una maschera,
che non sappiamo ormai togliere,
siamo pieni di cicatrici,
e non sappiamo il perché,
facciamo sogni,
che non si realizzeranno mai,
pensiamo agli altri,
senza pensare a noi stessi,
non pensiamo alla realtà,
viviamo nei sogni.
MUGGERI DENISE
Scuola Media I.C.S. Franceschini
Classe 2a
Commento:
«“Indossiamo una maschera che non sappiamo ormai togliere” Parole che mostrano persone che sanno fingere o simulare buone intenzioni e sentimenti apprezzabili con lo scopo premeditato di ingannare, di fare del male. E’ una grave lacuna, è la mancanza di rispetto verso l’altro, è togliere fiducia e speranza, non permette di far sbocciare concrete attese per il futuro. E’ un vivere tempo di incertezze, di disincanto e inquietudine, rendendoci incapaci di prendere in mano la nostra vita e trovare valide soluzioni per superare i diversi problemi della nostra esistenza. (Piero Airaghi)».
E ora eccomi qui,
pronto a partire,
a lasciare la mia terra,
le persone che amo,
per ricominciare.
I ricordi mi sembrano spine,
mi pungono, mi feriscono,
non voglio dimenticare il passato,
voglio solo imparare
dagli errori commessi.
Sto per vivere nuove esperienze,
così, chiudo gli occhi
e comincio ad immaginare…
immagino finalmente
quella nota di calore
che è sempre mancata nella mia
vita,
sempre fredda e piatta,
senza sfumature,
come un dipinto
di un solo colore.
VIANI FRANCESCO
Scuola media T. Grossi
Classe 3aC
Commento:
«Questa poesia sembra rappresentare la metafora di quel rito di iniziazione che e1 oggi costituito dal passaggio dal primo al secondo ciclo di istruzione, dalla preadolescenza alla giovinezza. Con una qualche acerbità espressiva ma con grande efficacia, il giovane autore esprime le sensazioni di chi si appresta a vivere nuove esperienze e vorrebbe incontrare un sogno, una persona, un’idea, che diano alla vita un calore e un colore nuovi rispetto a quelli, ormai superati, che appartengono al passato. Una speranza resa più forte dalla volontà di imparare dagli errori commessi per poter di nuovo partire verso un futuro carico di promesse e di sfumature. (Ombretta Degli Incerti)».
Un grido.
Nessuno lo sentì.
Si perse, nel silenzio della notte;
tutto era immobile,
immobile.
Un grido.
Nessuno lo sentì.
Nessuno lo voleva sentire;
tutti erano indifferenti,
a quella voce che chiedeva aiuto.
Moriva, nel silenzio di quel giorno,
moriva, nell’indifferenza delle persone,
moriva, senza un perché.
Un grido,
nell’indifferenza del mondo
è solo silenzio.
STANCO GIULIA
Liceo Scientifico E. Majorana
Classe 1a
Commento:
«Questa poesia mi ricorda un commento simile, che lessi 15-16 anni fa, su una colonna del porticato che, dalla base, porta alla sommità di Monte Berico, a Vicenza,, dove si trova il Santuario della Madonna, che in passato lì operò un miracolo. Per un paio d’anni salii a Monte Borico pregando, ogni qualvolta andavo a Vicenza, cioè 3-4 volte all’anno. Prima che il colonnato delle 150 armate fosse ridipinto, curiosando una volta lessi su una colonna una poesia scritta a penna biro, che cominciava così: “Maledetti voi”, che mi passate accanto ogni giorno e non ascoltate il mio grido disperato di dolore e di miseria. Per questo quella poesia si chiudeva con un altro “Maledetti voi”, per l’abbandono del mio grido, per l’indifferenza alla mia solitudine, alla mia miseria, come se fossi indegno di un vostro pensiero, di una parola buona. Anche questa poesia parla di un grido disperato, ma che nessuno sentì, e si perse nel silenzio della notte, “perché nessuno voleva sentire” quel grido disperato che chiedeva aiuto. Il poeta conclude: “ un grido nell’indifferenza del mondo è solo silenzio”. Il silenzio dell’anima vuota, della mente vuota, del cuore incallito, non più capace di amare, consumato dal nostro niente quotidiano (Prof. Valdo Nadir Pernumian)».
Tu che mi sai comprendere
Tu che hai qualcosa in comune con me
Tu che non riesci ad arrabbiarti con me
Sei una persona fatta di sguardi…
Sei un brivido sulla mia pelle…
Sei il mio pensiero fisso.
Spero di incontrarti tra i miei sogni
Spero che io sia tutto per te
Spero che io ti troverò.
Tu…sei …spero….l’Amore.
AQUILOTTI ERIKA
Istituto E. Mattei
Classe 2a
Commento:
«Poesia del dubbio e delle certezze. Le certezze stanno nella descrizione della persona desiderata: una persona che deve avere qualità morali che possano tranquillizzare, ma deve anche possedere il fascino necessario per accendere le passioni del cuore. Questo connubio è il “pensiero fisso” di chi scrive. Poi la speranza riveste il dubbio, ma riveste anche d’ansia l’anima. “Spero che io ti troverò” “Tu…sei…spero…l’Amore”. Quest’ansia si stempererà solo alla fine, nell’ultimo verso con la parola Amore con la A maiuscola. L’Amore pure, romantico, che possa durare per sempre, l’Amore della vita da vivere in due. (Adriano Molteni)».
Un’amica può rendere
speciali
semplici momenti
regalandoti anche
solo un sorriso
in una giornata triste
schiarendo le tue nubi
e dandoti il Sole
dopo una tempesta.
Può ricordarsi di te
Quando t’aiuta nelle difficoltà
che ti bloccano le idee,
quando calma la tua mente,
e quando ti da
l’illuminazione
per arrivare all’equilibrio.
BRUNELLI LORENZO
Liceo Scientifico E. Majorana
Classe 2a
Commento:
«La giovane età, come la semplicità metrica del componimento, non abbassano la portata del messaggio. Tutta la poesia si regge su alcune metafore, pulite e comunicanti. Il sole dopo una tempesta è forse un tantino abusato nello scrivere, ma fa subito pensare quel passaggio in cui ci si fa consapevoli delle “difficoltà/che ti bloccano le idee”. Così come è bello ascoltare la speranza adolescente verso qualcuno che, come recita la chiusa, possa offrirci “l’illuminazio-ne/per arrivare all’equilibrio” (Roberto Mosca)».
Immaginavo il nostro futuro
insieme ma,
tutto era annebbiato.
Giuro, non ho mai mentito,
giuro, ti ho sempre amato.
Tale sentimento era sopra ogni
banale emozione;
Sei stata lo sbaglio più bello in
assoluto;
dicevo: questo è Amore ma,
era tutto un’illusione,
le mie mani fra le tue,
Ho calcolato tutto tranne che,
l’amore bisogna viverlo in due
MONTESANO SIMONE
Istituto E. Mattei
Classe 2a
Commento:
«“Ho calcolato tutto tranne che, l’amore bisogna viverlo in due” “Amore” non è assolutamente una parola, ma la parte centrale del nostro vivere in coppia, è la forza che ci sostiene nel nostro crescere. Infatti la poesia ricalca l’affermazione “che l’amore bisogna viverlo in due”, è l’unione di due esseri umani che accettandosi, giorno per giorno, vanno verso il loro futuro superando i vari ostacoli della vita, trovando la forza e il coraggio di superare i momenti “bui” dell’esistenza. Non basta scrivere o dire “ti amo”, bisogna dimostrarlo… (Piero Airaghi)».
Nelle note intravedo
una possibilità, un presentimento,
nulla di reale.
Un ricordo, niente di più,
sconvolge il futuro
con mille abbracci tra note vermiglie
di un pentagramma erboso
e non conosce
la strada del ritorno.
Un infinito bosco di ciliegi brucia
al calpestio di essenze che ardono
con un unico cuore,
oscure all’occhio oscuro,
intrappolate nella luce di primavera.
Ardono, i ciliegi,
ritornano al cuore del passato,
avanzano nel cuore dell’avvenire.
Inceneriscono, come
fiori nel deserto,
giorni senza tempo
nell’attesa del risveglio
per l’ardore di raggi diffusi
dall’alba infinita
del risorgere di questa fenice.
E come la fenice, riviviamo,
ritorniamo nel candido sguardo
della prima volta.
KOJIC ANNA
Liceo Cl. C. Rebora
Classe 5a
Commento:
«È come sinfonia evocativa … ma no, non c’è nulla di reale … o forse sì? C’è un ricordo, niente più che un ricordo. Amore, passione, fuoco: tutto si trasforma agli occhi del poeta che dipinge la realtà in onirica veste e come attento mentore ci guida in ciò che fu. Ma come l’araba fenice, i sentimenti tornano vivi e potenti “ritornano al cuore del passato, avanzano nel cuore dell’avvenire”,danzando in questo ciclo di vita e rinascita (Sofia Verco)».
Miseria
in ogni forma deleteria
quest’è annullamento della materia.
Fantasmagoriche città sorgono
nelle desertiche lande settentrionali
dove climi polari
producono aurore boreali
diafane come spettri surreali
di ricordi sbiaditi nel tempo.
Lo scheletro del passato
è presente nel futuro,
il futuro diventando presente
scompare nel passato.
Il sole, pallido occhio,
fende in obliquo la tundra di
ghiaccio
scaldando gli alveoli urbani di
luce soffusa.
Lampioni in file
ordinate su lingue cementificate
sono gli instancabili occhi
nei lugubri vespri invernali
tra i bracci scheletrati
di alberi ricoperti di stracci
in onore dei saturnali.
SEGHETTI PAOLO
ITIS Cannizzaro
Classe 5a
Commento:
«Un gioco baudleriano, forse consapevole, sicuramente ispirato dai tempi. È una cascata di rappresentazioni decadenti, che si specchiano in un mondo non lontano da questa desolazione. L’inverno si fa metafora, simbolo di un presente non all’altezza delle aspettative. Stritolato da passato e futuro. Una moderna asciuttezza del verso avrebbe forse dato più senso a quanto l’autore intende comunicarci, ma l’immagine nel suo complesso colpisce e fa pensare (Roberto Mosca)».
Vaghi sazio
per i campi del mondo,
coperti di feccia e detrito,
quando in quegli occhi
di ghiaccio e fiamma,
di luce e ombra,
congela e brucia
e muore e sorge l’anima,
ozia il tempo,
si abbevera il corpo
e trionfa l’amore.
Sospeso nel vento caldo,
come le tue labbra
che baciano
le mie,
combatto
i demoni che ruggiscono
e dilaniano
la mia carne stanca,
col profumo
della pelle nivea
che sempre,
da oggi,
la Luna
invidierà.
GASPARI KEVIN
Liceo Classico C. Rebora
Classe 3a
Commento:
«Una poesia d’amore. Il suo soffio caldo riesce a tenere a bada i demoni; il profumo e il biancore di una pelle amata evocano un paese incantato, antidoto al sazio vagare in un mondo cosparso di “feccia e detriti”. L’autore esprime uno stato d’animo assai diffuso tra i nostri giovani, nel cui mondo i sentimenti, nella loro fragilità, costituiscono il solo argine alla brutalità di una realtà esterna vissuta come nemica. Per noi adulti, che quella realtà abbiamo costruito, un rimprovero neanche tanto implicito. (Ombretta Degli Incerti)».
Non è il brusio del vento
ciò che ti porta a me,
né forze ancestrali usciranno dalla
mia penna:
non è la forza dell’universo,
non ne ho bisogno per parlare di Te.
Non servono le forze del mondo
se sono vinte dal tuo sguardo,
non serve la magnificenza della
Natura
se il ricordo di Te la supera.
Niente è più forte e magnifico che sognarti,
che cercare quella realtà astratta di sguardi
in cui i nostri occhi si congiungono.
Non serve parlare di vani desideri:
ci si ricorda solo degli attimi passati,
paradisi ormai persi.
E mentre una lacrima solcherà il viso,
ancora una volta richiamerò il tuo sorriso.
LAZZARINI SIMONE
Liceo Scienze Sociali C. Rebora
Classe 5a
Commento:
«La poesia esplora le profondità, gli stati d’animo, quelle vibrazioni amorose che sollevano la vita dalla monotonia quotidiana. La persona amata è idealizzata fino al punto di declamarla con la lettera maiuscola: è l’amore che diviene intensa passione e si alimenta e si rivitalizza in nostalgia non a motivo della consolazione che offre, ma per i dubbi e le incertezze che provoca. Tutto è fulmineo, esagerato, enfatizzato e nel componimento il confronto con la Natura e la persona desiderata è un esempio della “follia amorosa”. Essere innamorati significa avere in testa un’idea che ti fa sognare, che non ti abbandona giorno e notte: è addormentarsi con quell’immagine e ritrovarla che aspetta sul cuscino. Negli ultimi versi si esprime delusione, rimpianto per i momenti vissuti; tuttavia, nonostante qualche lacrima scenda sul viso, c’è un richiamo finale a un sorriso che diventa presagio di aspettativa … (Hugo Salvatore Esposito)».