Dolore. Certezze si sgretolano come
specchi, disperdendo nell’aria i
loro minuscoli frammenti. Anima
che vaga nell’infinito oblio della
disperazione. Cuore infranto,
parole che come frecce lo
trafiggono, lame affilate che
attendono solo il momento per
colpirmi. E io, impotente,
piccola, in questo mondo
immenso, mi ritrovo
improvvisamente sola, contro
il dolore che ogni volta mi
assale. Il viso bagnato,
cosparso di gocce di tristezza
infinita. Lascio che l’abbraccio
gelido della notte porti via con
sé e disperda nell’aria queste
gocce di veleno come bollicine.
NOVELLI SILVIA
Media Paolo VI Via Diaz – Rho
Classe 3a
Commento:
«Il dolore: così chiaro nella mente di ognuno, ma così soggettivo nelle sue forme. La sua diversa natura ne delinea le caratteristiche e la delusione è una delle cause di sofferenza più intensa. Soli, perduti, disarmati, “anima che vaga nell’infinito oblio della disperazione”, in tal modo la poetessa descrive il suo sentire. Ma spesso una desolazione ne occulta un’altra, ed è così che la giovane autrice si affida al gelo della notte, sperando che almeno lui riesca a disperdere queste gocce di veleno.. (Sofia Verco)».
Un intenso turbamento,
preoccupazione, inquietudine,
si espandono nel profondo
del mio cuore. Il cuore batte,
batte sempre più forte.
Sudano le mani, il gorgoglio
in pancia, tutto questo si
unisce all’ansia. Lo sguardo
scrutatore mi cerca, sento che
mi vuole, batte il cuore
all’impazzata; le gambe cedono,
quando sento: “Federica”!
Vieni qui paura, la mia forza
ti afferra, ti sconfigge,
finalmente sono libera. Le mie
parole sono un canto, il mio
cuore si calma e sorride.
La paura: una sfida continua
della vita! Il timore silenzioso
mi sconvolge, ma il batticuore
è energia, carica il mio spirito
verso nuove conquiste.
BASCO FEDERICA
Media Geis – Arese
Classe 2a
Commento:
«I conflitti, i coni rosi i sono momenti eli riflessione clic ci fanno maturare psicologicamente in tutte le fasi della nostra vita. La “Paura” deve divenire una forza interiore che dobbiamo gestire con un dialogo aperto e sincero, possibilmente accanto alla famiglia o a un amico. Allora ciò diverrà una rinascita e ne usciremo più sicuri e più forti, con forza e coraggio per affrontare più serenamente i problemi inevitabili che ci riserva la nostra vita (Piero Airaghi)».
Mamma, se chiudo gli occhi
la tua immagine si tramuta
in un fiore, i suoi petali sono
rossi, forti. Nel limpido
cielo, come cristallo, splende
solitario. Più brillante degli altri,
il vento lo muove. 11 sole
lo circonda come l’oro,
l’oro di cui è colmo il tuo cuore.
Il tuo cuore che
ogni giorno è sempre più
grande, più forte, più
coraggioso. Parole, parole,
mamma, per dirti che ti adoro,
che vivo di te, come l’ape
solitaria che si ciba attorno
al tuo fiore.
BARBUTO GRAZIA
Media Manzoni IV Via Pomè – Rho
Classe 2a
Commento:
« Questa fanciulla (perché di una fanciulla deve trattarsi) sta vivendo serenamente la sua preadolescenza. Cosa poco comune, anzi, piuttosto rara. La fanciulla vive in un sogno la sua “mamma”, termine affettivo ben più denso del termine “madre”, piuttosto freddo. Se chiude gli occhi, concretizza il suo amore filiale con un fiore, i cui petali sono rossi e forti: due aggettivi che incarnano meravigliosamente i sentimenti in descrizione. Il fiore splende nel cielo e un leggero vento lo muove. La fanciulla vede questo fiore come l’oro, l’oro di cui è colmo il cuore della mamma. Il verso che lo descrive … commuove. E la mamma non è statica, ma cresce e fa crescere la figlia perché col passar del tempo si fa più grande, forte e coraggiosa. Dice la figlia: quello che scrivo sembrano parole, parole, ma io le scrivo perché “ti adoro mamma e … vivo di te” (espressione che fa venire i brividi), come un’ape solitaria si ciba attorno al suo fiore. In questa poesia vi è descritta una nobiltà alta, una finezza insolita, piena di amore, di dedizione. Le sue sembrano parole parole e invece nascono dalla scaturigine più profonda di un’anima grande. Fortunata la fanciulla, ma fortunata anche la “mamma”, che ancora conduce per mano una figlia meravigliosamente semplice. (Valdo Nadir Pernumian)».
A te o Creatore, vanno le nostre lodi
e tutto il nostro amore, per la vita
che ci hai donato e per la morte
dolce a chi non ha peccato. Per
gli alberi, l’erba e i fiori intessuti
di mille colori, per la terra che fa
ogni messe matura, ed è la madre
di ogni creatura. Dio onnipotente,
grazie per il sole che sorge ogni
mattino e per la luna che di notte
illumina il nostro cammino, per
l’acqua che sgorga dalla fonte
e per la neve che copre la vetta
del monte, per il canto dell’usignolo
e di tutti gli uccelli in volo.
LETO DI PRIOLO FEDERICO
Media S. Pellico Arese
Classe 2a
Commento:
«Oserei definirla poesia religiosa, influenzata mollissimo da “Il Cantico delle ( ‘reatine” di San Francesco d’Assisi. Il linguaggio è appropriato e le rime molto azzeccale. Delicata, bucolica, piacevole tanto da indurre a meraviglia. Ci ricorda clic viviamo nella natura, di cui tacciamo parte e di cui ei dimentichiamo troppo spesso, presi come siamo a rincorrere la soddisfazione dei bisogni imposti da una società in decomposizione. Sentire o leggere questi versi semplici e nello stesso tempo illuminanti non può che rasserenarci e ricordarci che la nostra esistenza è legata a ciò che in questo testo viene lodato. (Adriano Molteni)».
Come di sparuta
fragile allodola all’ala ferita,
si leva piano il canto tuo,
Mariannina…
Muto lamento di emaciato crisantemo
l’esangue pallore di morte sul tuo
viso,
l’esile tuo corpo violato
dall’infelice destino che ti toccò in sorte.
A quelle tue stesse delicate labbra portasti ignara
il velenoso calice dell’umana ipocrisia
di una frivola,
vacua società che nulla perdona,
vittima dei suoi dogmi
dei suoi giudizi stessi,
dell’untume
sulle mille bocche che s’atteggiano a riso
come a ricoprirne lo squallore di
vischio lucido.
Inchiostro,
gracile, oscuro gioiello,
unico ornamento delle nostre anime
così sole e vicine;
quanti versi ancora fluiranno sulle
carte
colmi di un dolore tanto antico
verso questo mondo, insano,
come effluvio di un fiore malato?
BONIFORTI SILVIA
L. Scienze Umane C. Rebora
Classe 2a
Commento:
«È difficile comprendere l’oggetto di dedica che il poeta dichiara nel componimento, ma nella metrica del giudizio questo poco importa. La prima cosa che colpisce è la cura, la capacità nel definire il verso, ricorrendo ad espressioni figurate che sono forse un poco classicheggianti, ma che non sminuiscono affatto il valore oggettivo della poesia. Si assorbe in prima analisi la compassione, etimologicamente intesa nella sua accezione più autentica, ovvero la capacità di chi scrive di aver fatto proprio un dolore altrui. È una dichiarazione di vicinanza, di penetrazione nella sofferenza di qualcuno che ne è stato avvolto. Ma è una sofferenza che dà frutto, che si consolida nel l’analisi poetica della brutalità di un mondo a volte spietato e che porta alla domanda finale: ovvero a chiedere e chiedersi quanto questo mondo possa ancora spargere il male, perché i versi di un poeta debbano provare a darvi spiegazione. Non sappiamo quale sia ovviamente la risposta, ma crediamo che la poesia, come l’arte in genere, riesca spesso – come in questo caso – a dare con grazia e bellezza un’intuizione nobile ed una luce di speranza a molte afflizioni. (Roberto Mosca)».
Non sono più io
Non sono più un anima
Una dimora in rovina
In aristocratico isolamento
Sempre più corrosa dal dolore
Sempre più annientata dal tempo
Non cerco più nulla
Solo respiro
E solo rimango
Nella chiara incertezza
Della divina coscienza
Maschera senza volto
Natura trafitta
Carne impura
Materia Infima
Intrappolata nell’abisso
Decaduta è per sempre
La mia mente
Oramai inorridita
Incessantemente essa viaggia
Negl’infiniti meandri
Della maligna tristezza
Neanche la morte sembr’abbracciarmi
Mai con me una presenza
Cruda e pesante
E’ l’aria che respiro
L’estate non è mia amica
Una malinconica brezza
Che incide la mia pelle
Un sussulto improvviso
Dalla crudele foresta
Foresta,
Così piena di me
Così piena di odio
Limpido è lo splendore
Dell’immane mortalità
Brancolando per questa landa
Più null’ormai scorgo attorno
Cerco infine di fuggire
Inutile è ormai desistere
Ferito
E sanguinante
Io, un Dio
Rovino alla madre terra
Riemergono i ricordi
Di troppi lustri ormai sepolti
Ripercorrendo le languide fermate
Del mio cammino verso la follia
Mi fissano
Gl’agognati fantasmi del passato
Come pallide ombre aggrappate a stento
Luci confuse
Che svaniscono a gran velocità
Nell’oscurità dell’eterna notte
Ed il capolinea della vita
Annuncia il suo epilogo
Nella disperata stazione
Degl’inumani errori
Ma ecco la neve
Ess’accompagna dolcemente
Le mie ultime visioni
Assapora romanticamente
Il mio denso liquido cremisi
Mentre l’universo rapisce eternamente
L’essenza
Della limpida mia anima
Io svanisco
Nel bagliore d’un sorriso
E sul dolce viso,
Una lacrima.
DI MATTEO LORENZO
L. Sc. Falcone Borsellino
Classe 2a
Commento:
«Una “maligna tristezza” carica e incide sulle parole scavate dal silenzio e come “brezza malinconica” attraversa tutto il componimento ben strutturato, complesso e contraddittorio, così i versi nella “chiara incertezza” consapevole diventano tormento interiore che eleva pensieri e concetti di un’anima che disperatamente cerca la sua voce, la strada, la meta non ancora definita … Emerge un grande desiderio di esplorare e di scoprire (“Non sono più io / Non sono più un’anima”) gli angoli più segreti dell’animo preso nella morsa del dubbio, dell’indecisione e dell’umana solitudine. La tematica esistenziale si nutre di vibrante drammaticità. L’autrice prova sconforto, ma trova la forza di viaggiare nei suoi “meandri infiniti”, scopre il coraggio di addentrarsi in quel suo scrigno segreto, ma le luci sono confuse e avverte un senso di paura: consapevole “maschera senza volto” e “intrappolata nell’abisso”, indugia, sosta, brancola, desiste, cerca di fuggire dai “fantasmi del passato” … Tuttavia, le basta un sussulto, un fiocco di neve per assaporare una leggerezza, per farsi rapire da un ricordo e poter svanire come visione “nel bagliore di un sorriso” che accetta quella piccola goccia nel divenire lacrima (Hugo Salvatore Esposito)».
E tu, che mi guardi dall’alto,
osservi i miei passi,
mi segni il cammino, mi mandi
segnali
in modo che io non possa
sbagliare nemmeno un istante
di questa mia vita davvero importante.
Mi sento orgogliosa,
sapendo che da me pretendi qualcosa.
Il cuore trabocca di gioia assoluta,
quando in mente mi torna qualche
tua vecchia battuta.
Sei stato per me una spalla sicura,
in tante occasioni in cui ho avuto paura.
Qualsiasi cosa che abbiam fatto insieme,
rimane un ricordo che mi appartiene.
Comunque ogni giorno sin dal mattino,
so di averti sempre vicino.
Mi sento davvero privilegiata
dovendo iniziare una nuova giornata,
con forza nel cuore e animo puro,
che tu mi hai insegnato da uomo maturo.
E come dicevi sempre a papà,
la speranza mai tramonterà.
Ed io come lui ci credo davvero,
so riconoscer un valore sincero.
Ciao nonno.
CAMPAGNA VANESSA
IPSSCT A. Olivetti
Classe 2a
Commento:
« In un mondo in cui molto spesso i giovani si sentono soli, il legame con le proprie radici diventa più forte e importante. E’ quanto emerge con chiarezza nelle parole dell’autrice per la quale il sentirsi guidati dall’alto, il ricordo di una battuta e del tempo trascorso insieme a una figura cara come quella del nonno diventano una “gioia assoluta”, un sentirsi protetti nel cammino della vita. L’inseguirsi delle rime baciate evoca, in questa fresca poesia, l’immagine di un nonno che non c’è più ma questa assenza non è una mancanza, anzi il vivido ricordo di ciò che ha significato questa persona cara diventa una rassicurante presenza: un filo di continuità con il passato e un impegno a far vivere nel futuro gli ideali trasmessi. (Ombretta degli Incerti)».
Io e la mia sorte non pensiamo uguale,
ma decido io, perché sono reale,
anche se il mondo appare orrendo
i0 non mi arrendo
devo imparare a vivere sopportando le penitenze,
pensare alle conseguenze,
riempire i vuoti e le mancanze,
ho molte speranze.
Conta ogni singola mossa
la vita è una scacchiera, ma più grossa
è un gioco
e infine dura poco.
So come ci si sente
quando tante domande aggrediscono la mente
è tutto buio, le luci sono spente
le pulsazioni non sono più lente
ignori la gente stranamente
sei assente vai controcorrente,
11 gioco diventa complicato veramente…
La ruota gira, ma non aspettare che finisca il giro
arriverà il tuo ultimo respiro
la vita è adesso
credi in te stesso
non temere la sorte
e nemmeno la morte
devi essere forte
non mollare mai, tieni duro
vivi di già il tuo futuro
sii più sicuro,
goditi la vita
affinché non sarà finita!
KURBANOV IULIAN
L. Sc. B. Russel
Classe 1a
Commento:
«Questa poesia ha un ritmo particolare, non dettato, dalla metrica, ma dalle rime. Queste appaiono cercate, volute, messe talvolta in abbondanza per essere tambureg-gianti, insistenti, quasi asfissianti. Sicuramente penetrano nel cervello di chi legge o ascolta Questa poesia si può cantare quindi a ritmo di rap e credo che da questo campo abbia preso spunto il nostro poeta. Sono partito dalla tecnica, per sottolineare che la poesia, in quanto tale, usa il ritmo per aiutare la parola a descrivere sentimenti ed emozioni che arrivano poi come messaggi diretti al nostro cuore.
Molti sono i messaggi contenuti in questi versi, tutti positivi, diretti ad affrontare con coraggio il poco tempo dell’esistenza. Il nostro giovane poeta dimostra una saggezza non comune, vola sì con le parole, ma resta ancorato alla terra, alla realtà che ci vede tutti impegnati a cercare una nostra dimensione in questo mondo che oggi “appare orrendo”, appare… dice il poeta, sottolineando con questo verbo che in fondo non lo è. C’è quindi uno spazio per tutti da dedicare alla felicità o almeno alla sua ricerca. (Adriano Molteni)».
Lo stupore
di poter plasmare il caos delle immagini.
Essere ora,
cogliere il vuoto di quei rimpianti
nutriti dalle pause
fra il becco di un’aquila
e le timide ali di un pipistrello.
Essere stati,
avere riempito l’istante
in cui un ciclo rarefatto di strazi
pareva adagiarsi sulla pigrizia del
fato.
Stare per essere, scorgere la luce
di una luna troppo lontana per piangerla,
stanca della monotonia delle tenebre.
Rimpianto e rimorso
, un frutto amaro di questo presente.
Sogni e speranze, dolcezza di un fumo che non
rende ciechi.
Angoscia e terrore,
linfa vitale del possibile.
Essere,
costretti ad esser liberi
di brindare a una sinfonia di
impressioni.
PEDOTA MATTIA
Liceo Scientifico E. Majorana
Classe 5a
Commento:
«Carpe diem, sii ciò che vuoi senza troppi pensieri. Il poeta è riuscito a descrivere l’estratto di un’esistenza piena inondandoci di immagini e plasmando versi che non lasciano prender fiato. Tutto ci da l’idea che ogni cosa dipenda esclusivamente dalle nostre scelte, ma la chiusa scolora questo bel quadro: “costretti ad essere liberi” ogni cosa perde il proprio senso. Le emozioni, le sensazioni risultano essere forzate, decise da altri, e non consola il fatto che esse diano luogo ad una sinfonia di impressioni. (Sofia Verco)».
Vola il tempo
come foglie d’autunno cadenti,
si sgretola.
Una mano mi cinge il viso;
impazzite e disordinate immagini
mi scorrono nella mente,
colorate, sfumano
dal nero tenebroso
al candido bianco di un viso.
Il senso panico
di perdere ogni attimo della vita
invade il mio cuore.
Poi una luce…
la osservo, l’ascolto
è verde, brillante,
emette un suono armonioso…
è la luce della speranza
che per sempre
continuerà a risplendere
nei nostri animi.
ANTONINI ELISA
Liceo Scientifico E. Majorana
Classe 5a
Commento:
«“Attimi” è intitolata questa breve poesia che rappresenta un conflitto di stati d’animo espresso attraverso un gioco di colori contrastanti: in bianco e nero una tensione che sfocia nel panico; nel brillare di una luce verde e armoniosa il nascere della speranza capace di durare e superare i conflitti. Sono gli attimi attraverso cui i giovani decidono se stare dalla parte di chi, timoroso, subisce il mondo e si ritrae; o dalla parte di chi esce allo scoperto e accetta di farsi riscaldare dalla luce del giorno e dalla forza della speranza. La parola poetica riesce a comunicare con efficacia l’intuizione di un dilemma che prima o poi ogni uomo è chiamato a sciogliere. (Ombretta Degli Incerti)».
Davanti a Te crolla
ogni complessa architettura
e i miei universi atterriti tintinnano.
Le mie perle, false o vere, cadono
si infrangono a terra, lacrime
colme.
Perdona la mia iniquità.
Dovresti ricevermi candido, innocente, puro
come Tu meriti.
Ma se lo vuoi, cercami adesso
Sii Tu ad elevarmi,
a farmi me stesso !
FASSONE DARIO
Liceo Classico C. Rebora
Classe 4a (II)
Commento:
«Ci troviamo di fronte ad una preghiera, dichiarata in quel “Tu” maiuscolo che non lascia spazio a dubbi. È una preghiera che – come tutte le preghiere profonde e sentite -chiede e dichiara amore, in cui il giovane poeta si spoglia di ogni difesa, mettendosi appunto a nudo nell’ineluttabile desiderio di esser puro di fronte al sentimento. Non importa – nel contesto poetico – se questo “Tu” si riferisca a Dio o ad un altro essere umano. Quel che colpisce è la profondità dell’abbandono, la pulizia del desiderio: la preghiera, appunto. Dal punto di vista stilistico la poesia è solida, ben strutturata e carica di metafore, di sinestesie che manifestano un lavoro di preparazione attento e competente: il tintinnio degli universi, le perle cadute come lacrime, lasciano dopo l’inizio del componimento tutto lo spazio all’invocazione, che passa attraverso il nobile intento di essere se stesso, pur nell’abbandono dell’amore (Roberto Mosca)».
Perduto
nell’infinito mi confondo
e mi perdo tra le stelle:
fuggo da un mondo stretto
fuggo da un cielo troppo piccolo
fuggo dal vento tagliente.
Ormai lontano,
nel rigido inverno,
l’anima mia ritrovo:
s’era perduta
spingendosi oltre,
inseguendo un sogno q
uasi un’utopia…
Fu il sogno d’un amore
a me quasi proibito,
che mi trascinò oltre la luna…
tra pianto e pentimento
mi ritrovai d’un tratto
nel nulla
sospeso
quasi fingendomi grande
come un nano su spalle di gigante.
Che follia che fu la mia !
Ora cado lentamente
verso il nero fango
che un tempo,
stolto,
abbandonai:
era quella, sofferente e sincera,
forse la vera vita.
FOGATO MATTEO
Liceo Sc. E. Majorana
Classe 4a
Commento:
«La nostra vita può essere breve o lunga, ma per tutti è un dono inaspettato, che ci porta a convivere con il bene o con il male i passi del nostro cammino terreno. Non saremo mai soli, tutte le persone che si sono prese cura di noi quando erano in vita, continueranno a farlo anche quando non ci saranno più e loro diverranno i nostri angeli custodi. “Aiutati che il ciel t’aiuta” così da poter ritrovare il senso della vita e risentirla ancora viva e bella in un rapporto speciale in ogni nuovo giorno. (Piero Airaghi)».